Le mosse (apparentemente) prive di strategia di un presidente che non ha problemi di coerenza e i rischi per per tutti noi in uno scenario sempre più imprevedibile
Probabilmente ha ragione Federico Rampini che, sul Corriere della Sera, a proposito di Donald Trump e del dietrofront sui dazi scrive: “La sua suprema arroganza ha almeno questo piccolo vantaggio: non si considera legato a un dovere di coerenza, è convinto che la propria immagine e reputazione sia talmente eccelsa da sopravvivere agli incidenti di percorso”. Trump può cambiare idea alla velocità della luce, in un senso o nell’altro, senza porsi il problema delle implicazioni sul piano interno o internazionale: chi tratta o ha a che fare con lui deve tenerne conto.
Il dietrofront di Trump: il punto
Dopo 48 ore di panico sui mercati e una svendita globale di titoli di Stato americani, Donald Trump ha fatto dietrofront e annunciato una parziale sospensione dei dazi “reciproci” proclamati nel ‘Liberation Day’. Le tariffe saranno sospese per 90 giorni, sostituite con dazi ‘solo’ del 10%, per tutti paesi che hanno manifestato l’intenzione di negoziare. Al contrario, la Cina sarà punita, per aver reagito con dazi all’84% contro le merci americane. Le tariffe nei suoi confronti, già al 104% saranno perciò aumentate al 145%.
Neanche Messico e Canada – che hanno reagito ai dazi americani, godranno della sospensione, mentre l’Ue – che ha congelato le prime tariffe su vari prodotti Usa – sarà inclusa nei paesi che vedranno diminuire l’imposta sui loro prodotti al 10%.
Così, quella che fino a ieri appariva come un’escalation verso una guerra commerciale globale si è trasformata in poche ore in un duello tra la prima e la seconda economia mondiale in cui la prima – a differenza di quanto accadeva in passato – si è volontariamente alienata tutti i principali partner e alleati. Gli economisti avvertono: gli sconvolgimenti creati dall’approccio irrazionale e bellicoso di Trump avranno ripercussioni prolungate a causa dell’incertezza e della sfiducia che, in vario modo, aleggiano sugli Stati Uniti. E cosa succederà tra tre mesi, quando la pausa finirà? Non è detto che la sospensione dei dazi coincida con la fine del caos.
Il dietrofront di Trump: cosa c’è dietro

Dopo aver ripetutamente dichiarato che non ci sarebbero state eccezioni né marce indietro, Trump si è contraddetto, tornando sui suoi passi. La repentina inversione di rotta è stata notevole anche per un presidente che ha fatto dell’imprevedibilità il suo tratto distintivo: il tycoon, infatti, aveva affermato di voler “liberare” gli americani da un sistema commerciale globale considerato ingiusto e che lui, a suo dire, avrebbe riordinato. Ma allora cosa gli ha fatto cambiare idea? Almeno in parte, secondo molti osservatori, sarebbero state le pressioni congiunte che investitori, legislatori e donatori del partito Repubblicano hanno saputo operare sul tycoon.
“La gente stava iniziando a spaventarsi”
Trump ha affermato di aver pensato alla pausa “negli ultimi giorni” e di averla concretizzata perché la gente “stava iniziando a spaventarsi” e “stava diventando nervosa”. Tra martedì sera e mercoledì mattina, in effetti, i titoli del Tesoro hanno iniziato a spaventare davvero la gente. I rendimenti dei bond decennali sono balzati di oltre 60 punti base in meno di 48 ore.
Il presidente si è trovato di fronte allo scenario peggiore: gli elettori che lo avevano riconfermato alla Casa Bianca a causa dell’inflazione si trovavano ora ad affrontare sia un aumento dei prezzi che un aumento dei costi dei finanziamenti, mutui compresi. “Il mercato obbligazionario è molto insidioso. Lo stavo osservando” ha detto Trump ieri sera. “Ho visto che la gente iniziava a sentirsi un po’ a disagio”.
Il dietrofront di Trump e la “pezza” della Casa Bianca
I funzionari della Casa Bianca hanno cercato di descrivere il dietrofront di Trump come parte di un piano accorto che prevedeva, fin dall’inizio, di spaventare tutti per poi convincerli a trattare. Ma secondo il Financial Times, con il crollo delle borse e il moltiplicarsi delle pressioni, il Segretario al Tesoro Scott Bessent – considerato a Wall Street il più credibile tra i consiglieri dell’attuale Casa Bianca – sarebbe riuscito a convincerlo a sospendere l’aumento dei dazi sui paesi con cui gli Usa hanno storicamente buoni rapporti e concentrarsi unicamente, o quasi, su Pechino.
Il dietrofront di Trump e il macigno del debito pubblico
Se da una parte, Trump può anche permettersi un crollo di Wall Street, (forse), il macigno del debito pubblico Usa è un’altra storia: se dovesse cadere quello sarebbe molto difficile trovare un argine. Da una parte una risalita dei tassi rischia di diventare un nuovo fronte pericoloso e molto salato per l’amministrazione Usa con il Tesoro americano che quest’anno dovrà rinnovare svariate migliaia di miliardi di debito. Ma a pesare, soprattutto in questo momento di aperta guerra commercale tra i paesi del mondo, è la fortissima presenza proprio di investitori stranieri nel debito Usa. Che potrebbero essere pronti a usare anche quest’arma come ritorsione ai dazi.
L’enorme debito pubblico Usa ha raggiunto i 36.200 miliardi di dollari e quasi un quarto di questo ammontare è in mano a investitori esteri (23,5%). E’ una cifra che in valore assoluto è pari a circa 8.512 miliardi di dollari, secondo i dati di fine 2024 del Dipartimento del Tesoro Usa.
America contro Cina: il dietrofont di Trump qui non c’è

Anche se la motivazione fornita da Trump è la sua “reazione” ai dazi, Pechino non è finita nel mirino del tycoon per pura ritorsione. La Cina vanta un surplus commerciale senza paragoni nei confronti degli Usa: nel 2024, il commercio tra i due paesi ha raggiunto un valore complessivo di 582 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno esportato beni per quasi 144 miliardi totali, mentre la Cina ha esportato beni per 439 miliardi di dollari. Il deficit commerciale Usa ammonta quindi a circa 295 miliardi di dollari. Washington non è la sola a preoccuparsi della potenza esportatrice della Cina.
La spinta costante di Pechino a incrementare la produzione manifatturiera ha inondato i mercati globali di prodotti cinesi. Pechino registra un surplus commerciale globale da 30 anni. Tuttavia, il divario tra esportazioni e importazioni è più che raddoppiato dal 2019 a oggi. Trump è convinto che la Cina abbia approfittato fin troppo della globalizzazione, e che sia ora di regolare i conti.
Per questo, ciò a cui punta con i dazi è ‘riportare indietro’ le lancette dell’orologio a quando gli Usa erano il centro della manifattura mondiale e a quando quella che oggi è nota come la ‘Rust belt’, la cintura della ruggine, costituiva la spina dorsale dell’industria americana. Per farlo è disposto a rovesciare l’attuale sistema di scambi basato sull’integrazione delle catene di approvvigionamento e incentrato sul paese asiatico come nuova ‘fabbrica del mondo’.
La Cina alza i toni e risponde, per Macron “pausa fragile”
In un’escalation continua, la Cina ha rialzato i suoi contro-dazi sulle importazioni dei prodotti statunitensi dall’84% al 125%. Il ministero delle Finanze cinese ha annunciato che le nuove tariffe entreranno in vigore il 12 aprile.
“La ripetuta imposizione di dazi esorbitanti alla Cina da parte degli Stati Uniti – si legge in una nota del Il Ministero del Commercio cinese – è già diventata un gioco di numeri, privo di qualsiasi significato economico pratico. Non farà che mettere ulteriormente in luce l’uso dei dazi da parte degli Stati Uniti come strumenti e armi per intimidire e coercire, finendo per diventare zimbello di tutti”.
La sospensione di 90 giorni dei dazi da parte di Trump “lascia la porta aperta ai colloqui, ma è una pausa fragile”, ha dichiarato Emmanuel Macron su X. Il presidente francese sottolinea che restano attivi dazi su acciaio, alluminio, auto e altri beni per un totale di 52 miliardi di euro verso l’UE, mantenendo alta l’incertezza per le imprese.
Macron ha comunque ribadito che la Francia e l’Europa affronteranno le trattative come un fronte comune. E Trump è d’accordo.
Il presidente cinese Xi Jinping si rivolge adesso all’Unione europea per trovare una sponda nella guerra commerciale con gli Stati Uniti: chiede un’intesa per “resistere insieme alle prepotenze unilaterali. Nella guerra dei dazi non ci sono vincitori”.
Il dietrofront di Trump e i dazi: obiettivi in contraddizione?
Durante la campagna elettorale, Trump aveva promesso che i dazi avrebbero rivitalizzato l’industria manifatturiera statunitense e avrebbero portato entrate fiscali. Ma nessuno di questi obiettivi – produzione e fatturato – è raggiungibile se i dazi non rimangono in vigore. I produttori non trasferiranno la produzione negli Stati Uniti se pensano che l’incentivo a farlo svanirà presto.
Per questo alcuni osservatori avevano avanzato l’ipotesi che le tariffe fossero una tattica negoziale, per indurre altri paesi a rimuovere le proprie barriere commerciali contro gli Stati Uniti. Al contrario, questa strategia implicherebbe che i dazi siano transitori e che restino in vigore solo sino a nuovi accordi commerciali. In altre parole, gli obiettivi – di volta in volta dichiarati anche dall’amministrazione – sono in contraddizione tra loro.
L’annuncio di Trump ha complicato ulteriormente le cose. Da un lato, la Casa Bianca ha reso noto che la pausa le darà il tempo di concludere nuovi accordi commerciali, ma nel contempo ha introdotto dazi universali del 10%. Saranno permanenti? L’amministrazione non ha fornito una risposta chiara e oggi l’America continua a tassare il commercio molto più di quanto facesse fino ad ora. Tanto basta per continuare a sconvolgere l’economia mondiale.