Le fake news viaggiano tra le reti dei navigatori social che si avvicinano ai 4,88 miliardi, pari al 60.6% della popolazione mondiale: un fenomeno che sembra impossibile da contrastare, ma i margini per resistere ancora ci sono
A volte i paradossi aiutano a capire meglio la realtà, le iperboli immaginifiche ne amplificano la comprensione. Se oggi il barone Charles de Montesquieu dovesse riformulare la sua teoria della tripartizione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – nella lungimirante intuizione che è alla base del sistema istituzionale moderno e dello stesso concetto di Stato (che si va sgretolando nella cd. ‘postmodernità’) non potrebbe non considerare l’incidenza dell’informazione, intesa come insieme indefinito e complesso di mezzi e fini, dalla mera comunicazione alle relazioni umane più ampie ed estese. Poiché è questo – di fatto – un vero e proprio “quarto potere” trasversale ai primi tre: ora in modo oggettivo, ora strumentale, ora paradossalmente labile nell’epoca delle connessioni globali, dei media, dei social e dell’intelligenza artificiale.
Informazione, in potere forte
Un potere forte che – a differenza di quelli in uso nell’immaginario collettivo come sintesi di competenze e responsabilità, anche se spesso debordanti o confliggenti – sfugge spesso alle stesse coordinate spazio-temporali che sono gli ancoraggi di una società complessa, o liquida come l’ha definita Bauman, in quanto simultaneo e pervasivo, svincolato spesso al controllo delle fonti, difficilmente incline al discernimento tra vero e falso e basterebbe solo questa osservazione per capacitarsi del peso etico, culturale e sociale che declina nei mille rivoli della nostra vita. Personalmente ritengo che l’uso intensivo delle tecnologie, la capillarizzazione dei mezzi di informazione, le innovazioni scientifiche che aprono a scenari persino distopici nella gamma infinita delle loro applicazioni, induca a riconsiderare il concetto di “liquidità” in quello (che trovo più attuale) di “apparenza”, come categoria che definisce ciò che chiamiamo società.
Informazione elemento più forte di ibridazione tra realtà e finzione
Penso che sia proprio l’informazione l’elemento più forte di ibridazione tra realtà e finzione, tra teoria e pratica, tra ortodossia e fake-news. Ritengo che oggi ci sia bisogno di verità, oggettività, riscontrabilità, verifica nel mondo dell’informazione: la globalizzazione genera una proliferazione e una sovrapposizione di notizie incontrollabili. Kepios – società di consulenza strategica che si occupa di identificare i cambiamenti nel comportamento digitale e tradurre intuizioni e tendenze – fornisce dati significativi sul mondo dei social: il numero di utenti attivi è di 4,88 miliardi – pari al 60.6% della popolazione mondiale (che ha superato gli 8 miliardi di persone). Un numero di navigatori social che si avvicina ai 5,19 miliardi di utenti internet, pari al 64,5 % degli abitanti del pianeta.
Informazione e social: una sfida apparentemente impari
I dati sugli utenti del web e i frequentatori dei social rendono una pallida idea delle dimensioni gigantesche e inarrestabili degli ingressi nella navigazione online. Per questo la gente ha bisogno di certezze e chiarezza nelle informazioni a cui accede. Credo che in questa situazione cangiante e poco rassicurante il giornalismo della carta stampata, che subisce certamente l’assalto della rete, sovente risulta soverchiato dalla rapidità di accesso all’informazione da parte dell’utenza, dalla simultaneità tra eventi e notizie, dalla diffusione planetaria dei nuovi media, abbia un suo spazio e una ragion d’essere punto di riferimento per l’utenza.
Informazione, non è ancora il momento di gettare la spugna
Non credo che si tratti di una sfida persa in partenza, non è ancora venuto il momento di gettare la spugna. La lettura – sia essa di un autorevole rivista o di un buon libro – conserva una sua specifica originalità, assolutamente ineguagliabile anche sotto il profilo della piacevole fruizione che origina da una misurata metabolizzazione dei suoi contenuti. Leggere è una delle ultime frontiere della libertà individuale, prima di essere tutti condannati a portare i nostri cervelli all’ammasso.
Viviamo davvero la stagione della democrazia della parola?
Ma viviamo davvero la stagione della democrazia della parola? Oppure esistono regie occulte che sapientemente tessono ordito e trama di un gigantesco e incontrollato network dell’informazione? La forza di penetrazione delle fake news è devastante, facilitata dall’onda lunga dei social e della digitalizzazione raggiunge ogni angolo del pianeta e fa proseliti: spesso è preponderante rispetto alle tutele della trasparenza e della privacy, le stesse istituzioni ne sono vulnerate. Dietro ad essa ci sono mani sapienti che gestiscono l’informazione, per questo è necessaria un’etica della responsabilità. Non esiste solo un problema di qualità dell’informazione ma anche una enorme questione ad esso correlata, che è in primis etica, deontologica ed educativa, e che si esplicita nel concetto di ‘controllo’ di questa qualità.
Informazione tra fruizione individuale e necessità di favorire lo scambio di idee
Ecco che allora – a mio modesto parere – torna a riemergere la potenzialità straordinaria dell’informazione a mezzo stampa attraverso la quale il giornalista esercita e garantisce il diritto-dovere della trasparenza e del report sui fatti avendo la possibilità di valutarne gli esiti e l’impatto presso il grande pubblico, esercitando una professione socialmente utile ed eticamente ispirata. Pensiamo ad una evidente contraddizione in termini: più si ramifica e si diffonde la maxi-rete di internet e della libera circolazione delle notizie e più si crea una sorta di mercato globalizzato dove la fruizione della notizia assume una forte connotazione individuale. Altrimenti non si spiegherebbe il paradosso per cui la rete viene utilizzata come camera di compensazione delle solitudini e dell’incomunicabilità tra le persone. Viceversa un buon giornale può anche svolgere un’importante funzione di socializzazione e aggregazione per favorire lo scambio delle idee e l’incontro, le relazioni umane.
Informazione: non rifiutare la modernità
Siamo allora condannati ad asserragliarci nel fortino della privacy e dei divieti, della messa al bando dei nuovi media come apportatori di cattive notizie, di devastazione etica e valoriale, di diseducazione delle giovani generazioni? Non credo: semmai dobbiamo accettare la sfida e utilizzare ogni possibile canale per diffondere la parola. Ricordo gli insegnamenti del filosofo Pietro Prini: non rifiutare la modernità ma utilizzarla a piene mani per realizzare il bene. Credo che la carta stampata, il buon giornale, siano ancora in grado di svolgere il loro ruolo informativo e formativo e di stimolare una lettura aperta a tutti gli apprendimenti della vita.
Fonte Mente Politica