In Italia un comune su 8 è in condizione di dissesto o pre-dissesto finanziario: precisamente 1.083 enti locali su un totale di 8.389. A fornire un quadro generale sulla fragilità finanziaria di molti comuni italiani è il rapporto elaborato dal Centro studi enti locali (Csel) e Adnkronos, dal quale emerge una netta differenza tra il Nord e il Sud dello stivale.
A livello regionale, secondo lo studio, i comuni che si trovano ad affrontare un deterioramento sostanziale dei conti sono in netta predominanza situati in Calabria, seguiti dai comuni della Sicilia e della Campania. Secondo i dati del Viminale – ripresi nel Rapporto Ca’ Foscari e aggiornati al 21 dicembre 2020 – vertono invece in uno stato di riequilibrio finanziario, detto pre-dissesto, circa 400 comuni. Tra questi si trovano alcune maxi-amministrazioni come Reggio Calabria, Catania, Messina e Napoli ma anche enti di piccole e medie dimensioni, la maggior parte concentrati sempre tra Calabria (86), Sicilia (83) e Campania (64).
i bilanci “in rosso” del Sud Italia
Il tema della crisi dei bilanci comunali ha una forte caratterizzazione territoriale. Al 31 dicembre 2020 gli enti dissestati in Italia erano 683. Sul podio ancora il Mezzogiorno: la Calabria confermata al primo posto con 193 comuni in default. Segue la Campania con 173 enti in crisi e la Sicilia con 80. Se guardiamo all’incidenza percentuale delle due condizioni emerge che sono attualmente in dissesto o riequilibrio quasi 7 Comuni calabresi su 10 (279 su un totale di 411) e più del 40% dei comuni campani (237 su 552) e siciliani (163 su 390).
Presupposti dello stato di fragilità finanziaria degli enti locali sono, nello specifico, le modalità con cui i comuni hanno contabilizzato le risorse (anticipazioni di liquidità) stanziate dal “Decreto Sblocca debiti”. La norma, varata nel 2013 dal Governo Monti, fu emanata per andare incontro alle sollecitazioni dell’Unione Europea a fronte dell’enorme massa di debiti commerciali accumulati dalle pubbliche amministrazioni del nostro paese.
quando un comune entra in dissesto finanziario
Ma facciamo un passo indietro. Che cosa si intende per dissesto finanziario? Secondo il Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), si ha dissesto finanziario quando il Comune non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, oppure quando esistono nei confronti dell’ente locale crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte. In sostanza, la differenza con il pre-dissesto è la maggiore sofferenza finanziaria dell’ente che, nel secondo caso, può presentare un piano di risanamento alla Corte dei Conti con alcuni margini di manovra. Il dissesto finanziario è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano nel 1989. In seguito, questo istituto si è modificato seguendo un percorso ad ostacoli.
la Consulta boccia il ripiano trentennale
Risale al 29 aprile scorso l’ultima sentenza – la n. 80 – della Corte costituzionale in materia. La Consulta ha definito incostituzionali le norme che finora hanno consentito di spalmare fino a 30 anni i debiti degli enti in difficoltà finanziaria, stabilendo un obbligo di ripiano ravvicinato. Con la bocciatura del ripiano trentennale dei debiti, i Comuni hanno adesso tempi ridotti a tre anni o alla durata del mandato di un sindaco per pareggiare i passivi.
Il presidente della Corte costituzionale, Giancarlo Coraggio, ha spiegato che “evitare il dissesto dei comuni è compito primario cui lo Stato deve assolvere” aggiungendo che “continuare a fare debiti sulle spese correnti non è possibile e non è democratico che i sindaci scarichino sui sindaci futuri debiti che possono essere anche il frutto di una politica interessata”. Secondo la Corte, quindi, il continuo slittamento in avanti della restituzione dei debiti ha violato principi costituzionalmente garantiti quali la solidarietà intergenerazionale e il pareggio di bilancio.
Anci e Upi richiedono un intervento sistemico
La sentenza ha generato il panico tra gli enti che avevano fatto ricorso a quelle somme per onorare i propri debiti commerciali: oggi si trovano a misurarsi con un peggioramento dei conti che potrebbe, nei casi più critici, determinare la necessità di avviare un piano di riequilibrio pluriennale per enti che ad oggi sono sani o il crac per gli enti già nel limbo del pre-dissesto.
Anci e Upi, le due associazioni che rappresentano i Comuni e le Province d’Italia, hanno inviato una lettera al Ministro dell’Interno Lamorgese, sollecitando un confronto all’interno della Conferenza Stato-Città per affrontare le problematiche degli enti locali con difficoltà finanziarie strutturali. I mittenti della lettera hanno espresso la volontà di affrontare tempestivamente gli effetti della sentenza della Corte costituzionale che, a loro avviso, rischia di ampliare il fenomeno dei dissesti e dei pre-dissesti. Si richiede un intervento sistemico in grado di impedire che “le convergenti debolezze precipitino in un tracollo della capacità amministrativa nelle funzioni di molti enti locali, accentuando i divari territoriali”.
in Calabria 200 comuni a rischio
La sentenza corre il rischio di far chiudere definitivamente i portoni di tante amministrazioni comunali. Sono infatti 1400 gli enti ormai prossimi al crac finanziario: solo in Calabria ci sono 200 comuni che rischiano il dissesto. A sottolineare l’effetto devastante della sentenza 80/2021 in Calabria è il primo cittadino di Rende, Marcello Manna: “senza un immediato intervento da parte del Governo e del parlamento assisteremo a una serie di dissesti a catena, peraltro difficilmente gestibili, e con un impatto socialmente destabilizzante sulla nostra fragile economia locale, già duramente provata dalla pandemia e da mesi di chiusura delle attività economiche”.
Secondo il sindaco, un intervento legislativo immediato si presenta come unica soluzione per evitare di tagliare quasi 2 milioni di spesa corrente che vorrebbe dire – continua Rende – “ridurre, se non eliminare, importanti servizi pubblici essenziali o far gravare sulle famiglie, in piena emergenza sanitaria, l’intero peso finanziario per la loro fruizione attraverso un aumento esponenziale delle tariffe”.
Manna ha una proposta: “riteniamo che vadano sospese, almeno fino al 2022, le assurde regole, ancora vigenti, sul pareggio di bilancio che imbrigliano i comuni obbligandoli ad accantonare quote crescenti di entrate nei loro bilanci senza una reale motivazione e senza tener conto delle specificità dei singoli contesti territoriali”. Qualunque sarà la decisione adottata dal Governo, l’augurio di Manna è che le soluzioni non vadano “nella direzione di aiutare solo pochi grandi enti locali lasciando nel guado tutti gli altri, specialmente nel sud Italia”. In sostanza ci sarebbe bisogno in tempi rapidi, di un provvedimento Salva Comuni del Governo che metta in sicurezza le casse delle amministrazioni comunali. Ciò significherebbe garantire ai cittadini, tra le altre cose, una normale raccolta dei rifiuti, un decoroso trasporto pubblico ed una accettabile pubblica illuminazione.
Orlando: in Sicilia vera e propria crisi del sistema delle autonomie locali
Come anticipato, anche in Sicilia un terzo delle amministrazioni locali sono in dissesto, pre-dissesto o criticità finanziaria. Nel settembre 2020, l’assessorato regionale delle autonomie locali rendeva noto che un comune siciliano su dieci aveva avviato una procedura di dissesto. Sull’Isola la percentuale più alta di dissesti si riscontra nel Comune di Siracusa (23,8), seguito dal palermitano e dal catanese dove la percentuale di enti finiti sul lastrico è rispettivamente il 14,6 e il 19 per cento.
Un bilancio complessivamente sconfortante, peggiorato dai risvolti della pandemia. Leoluca Orlando, presidente di Anci Sicilia e sindaco di Palermo, ha precisato che “i Comuni vivono una condizione che, anche a causa dei limiti della capacità amministrativa e fiscale dei territori e di specifici fattori quali l’efficienza del sistema di riscossione dei tributi e della gestione integrata dei rifiuti, la difficile applicazione delle norme in materia di fiscalità locale e la ridotta capacità assunzionale, ha determinato, con il protrarsi degli anni, una vera e propria ‘crisi’ del sistema delle autonomie locali”.
Napoli, passività oltre i 5 miliardi
La situazione di asfissia finanziaria non risparmia neanche la Campania. A Napoli, l’ex ministro dell’Università e già rettore della “Federico II”, Gaetano Manfredi, ha declinato l’invito per la corsa alla poltrona di sindaco. Le ragioni del rifiuto sarebbero da ricondurre alla drammatica situazione economica e organizzativa del comune: nel capoluogo partenopeo le passività superano i cinque miliardi di euro tra debiti e crediti inesigibili.
Secondo Manfredi “in queste condizioni della città, il sindaco diventa un commissario liquidatore” e “i napoletani, legittimamente, hanno aspettative altissime: ambiscono ad avere trasporti efficienti, strade riparate e pulite, asili nido, centri per gli anziani, impianti sportivi, parchi pubblici e condizioni di vita quotidiana adeguate ai migliori standard nazionali e internazionali”. Al suo allarme, Pd e 5Stelle si sono detti pronti a farsi carico della questione: intendono trovare una soluzione per Napoli e le altre aree metropolitane.
Anche il responsabile enti locali del Pd, Francesco Boccia, ha sollecitato un intervento immediato del Governo aggiungendo che “è necessario essere immediatamente conseguenti in parlamento sui provvedimenti attesi” che si rivelano ancora più urgenti dopo la sentenza della Corte costituzionale.
Sentenza che Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, ha recentemente definito “errata” per le sue “richieste inesigibili”.
Governo: lavori in corso
Nel frattempo a Roma continua il lavoro per salvare gli enti locali dal dissesto. È probabile che in commissione bicamerale per le questioni regionali ci sarà un documento comune a tutte le forze parlamentari che impegnerà il Governo ad aiutare gli enti locali più in difficoltà. Ma il tempo stringe: il termine di approvazione dei bilanci è fissato, per il momento, al 31 maggio. La strada maestra è quella di inserire l’aiuto nel dl Sostegni bis ma non si esclude l’ipotesi di una norma-ponte che “congeli” gli effetti della sentenza della consulta e conceda qualche settimana in più per costruire una via d’uscita definitiva. Il rischio del dissesto è solo la punta dell’iceberg perché con l’emergenza Covid le entrate tributarie si sono contratte dappertutto e il taglio dei servizi per i cittadini è sempre più palpabile.