Erede dei cantastorie messicani, con i suoi libri ha raccontato il mondo di coloro che per cultura oscillano tra un passato di povertà o sopravvivenza e un presente di lenta integrazione
Quando uno scrittore muore, quale che sia stato il suo contributo alla letteratura o anche solo all’accrescimento della conoscenza, è come se si spegnesse una luce. Perché la parola è solo e semplicemente luce, e lo è ancora di più se raggiunge quante più persone possibile, se diventa lo strumento perché le idee viaggino, superando le tenebre del conformismo. Se, da mezzo di semplice comunicazione diventano seme di un nuovo pensiero, le idee contribuiscono a fare nascere l’attenzione anche su strumenti espressivi poco conosciuti, ma non per questo meno affascinanti.
Una di queste luci si è spenta, quasi in silenzio, nel crepuscolo che Rudolfo Anaya aveva imposto agli ultimi anni di una vita che lo ha visto diventare, da figlio di una famiglia di agricoltori quasi analfabeti e nelle cui vene scorreva il sangue degli avi messicani, il cantore del chicano, del mondo di coloro che per cultura oscillano tra un passato di povertà o sopravvivenza e un presente di lenta integrazione nella cultura di coloro che, venendo da est, arrivarono per piantare la loro bandiera.
chicano: la transizione da genere a movimento
Del chicano Rudolfo Anaya ha fatto un movimento, facendolo transitare da genere che si alimentava del passaparola a fenomeno meritevole di attenzione, soprattutto perché ha fatto scoprire al mondo che anche lontano dai circoli, dalle allegre congreghe autoreferenziali degli scrittori, poteva affermarsi un genere letterario vivace, concreto e, come nel caso dello stesso Anaya, anche sperimentale.
la malattia nella sua casa di albuquerque
Lo scrittore è morto, dopo una malattia che ne aveva minato solo il corpo, nella sua casa di Albuquerque, la città più importante del New Mexico, uno degli Stati più giovani (è entrato nell’Unione appena nel 1912) e che segna la congiunzione naturale tra la nuova cultura e quella ancestrale dei chicanos.
Anaya, andandosene, ha affidato alla nipote Belinda Henry il compito di dare la notizia della sua morte.
Una fine in silenzio, con la riservatezza che ne ha contraddistinto la vita e che cozzava con la vivacità del suo modo di raccontare una realtà poco conosciuta, in cui i ”messicani” sono svelati per la loro sensibilità, per l’attaccamento alle loro tradizioni, al loro essere insieme ospiti e padroni di casa in un territorio che da sempre è segnato dalle contraddizioni che hanno fatto restare, sui due versanti della barricata, espressione di culture apparentemente antitetiche e che invece si sono ritrovare nell’adattarsi allo scandire quotidiano dell’esistenza.
una vita fuori da un un copione già scritto
Il copione che la vita di Rudolfo Anaya avrebbe dovuto seguire doveva essere quello comune a tanti giovani figli di braccianti ed agricoltori chicanos che prestavano le loro braccia e le loro capacità a cavallo alle grandi fattorie sorte nel New Mexico con l’arrivo dei proprietari terrieri.
Nato, nel 1937, a Pastura, uno snodo ferroviario più che una cittadina, si trasferì giovanissimo con la famiglia – il padre era vaquero – a Santa Rosa, dove – unico di sette fratelli – frequentò le elementari e dove rimase fino a quando ultimò le scuole medie, per poi andare ad abitare ad Albuquerque. Qui si diplomò nel 1956 e, poi, nel 1963, si laureò in letteratura inglese ed americana alla New Mexico University.
Forse lo attendeva una vita da insegnante, da semplice docente, probabilmente nel circuiti dei ”messicani d’America”, nelle scuole dove i ragazzi di pelle scura e dal forte accento ispanico andavano controvoglia ad occupare banchi solo aspettando di trovare un lavoro.
Troppo ristretto questo orizzonte per Anaya che cominciò a servirsi della parola per descrivere l’ambiente da cui proveniva e la cui conoscenza voleva che uscisse dal circolo ristretto dell’etnia. E dopo, una volta diventato uno scrittore dalla fama andata oltre i confini della comunità, confessò d’essere stato influenzato nella scrittura dai narratori orali di lingua spagnola della sua giovinezza, che restava ad ascoltare, forse affascinato dai contenuti dei racconti, ma forse di più da come le parole fluivano da quegli uomini che avevano preso su di loro il compito di fare vivere tradizioni che rischiavano di perdersi.
con ”Bless me, Ultima” una sperimentazione originale e innovativa
Quando Anaya cominciò a scrivere il suo primo libro aveva le idee chiare su quale sarebbe stata la sua strada. Il romanzo ”Bless me, Ultima” racconta il rapporto, instauratosi nel corso della seconda guerra mondiale, tra un giovane americano di origini messicane ed una curandera, una guaritrice, la Ultima del titolo..
Un romanzo particolare nel contenuto (il confronto tra esponenti di uno stesso ceppo culturale, ma divisi da un evidente gap generazionale) e nella forma, dal momento che Anaya lo scrisse usando un linguaggio in cui inglese e spagnolo si fondevano in una miscela assolutamente originale quanto innovativa. Una cosa non certo nuova nel panorama della letteratura dello scorso secolo, dove una delle molle che hanno mosso gli sperimentatori della parola è stata la ricerca di un canone che, nella apparente discrasia della fusione di due lingue (o di una lingua e di un dialetto) assolutamente lontane, trovasse elementi di interesse in entrambe le culture.
Un tentativo di innovare forse troppo violento e repentino tanto che, come sovente accade per gli sperimentatori della lingua, il romanzo non trovò editori disposti a scommettere sullo scritto di un ragazzo che, sebbene mostrasse talento ed anche forte spirito analitico, si ostinava a fare esprimere i suoi personaggi in una lingua che era sì anche quella parlata dai chicanos, ma che si credeva non potesse essere ”recepita” da chi chicano non era.
un esempio e un indirizzo per una generazione di scrittori
”Bless me, Ultima”, pubblicato solo nel 1972, da Quinto Sol, raggiungendo, grazie a 21 ristampe, la quota di 300 mila copie vendute, è stato un esempio ed insieme un indirizzo per una generazione di scrittori e romanzieri di origine messicana che, guardando a quanto Anaya era riuscito a fare, diedero il via ad un filone che ancora oggi resta vivacissimo, spingendo l’orgoglio culturale degli americani di origine messicana ad eccellere rispetto al processo di assimilazione.
L’importanza di Rudolfo Anaya nel panorama della letteratura chicana è confermato anche dal fatto che, dopo la pubblicazione dei romanzi dello scrittore, le biblioteche di moltissime università americane – a conferma anche dell’aumento della popolazione di origine ispanica – hanno arricchito i loro scaffali con opere di autori di origine latinoamericana.
un percettore della forza della cultura chicana
“Sono stato completamente trasportato la prima volta che ho letto ‘Bless Me, Ultima’ ”, ha detto lo scrittore e poeta Rigoberto Gonzalez, che non nasconde d’essere stato influenzato da Anaya.
“È stato – ha spiegato Gonzales riferendosi a Rudolfo Anaya – in qualche modo in grado di catturare lo sfondo della nostra comunità e renderci orgogliosi”.
Ecco, è stata forse questa la forza di Anaya non tanto come scrittore, quanto come percettore della forza della cultura chicana e di come essa dovesse essere raccontata per rendere partecipi tutti del valore assoluto dei suoi contenuti.
La notizia della scomparsa di Rudolfo Anaya è stata accolta con tristezza soprattutto nel New Mexico, dove era considerato un monumento vivente alla cultura messicana.
Come ha detto la governatrice dello Stato, Michelle Lujan Grisham, secondo cui Anaya è ”una figura fondamentale nella letteratura. Attraverso le sue storie indelebili, Rudolfo Anaya, forse meglio di qualsiasi altro autore, ha davvero catturato ciò che significa essere un nuovo messicano, cosa significa nascere qui, crescere qui e vivere qui”. Per Simon Romero, columnist del The New York Times, ‘Bless me, Ultima’ ha, come punto centrale, la tensione tra il cattolicesimo romano e le pratiche spirituali incarnate dalla guaritrice.
”Il romanzo – ha scritto Romeno – ha riformulato il modo in cui molti nel New Mexico hanno visto la propria storia, dando la priorità alla fusione di mitologie, stirpi e pratiche religiose rispetto a tentativi semplicistici di caratterizzare la cultura in cui Anaya è stato cresciuto come spagnolo”.
l’ostracismo dei conservatori, il riconoscimento di obama
“Bless me, Ultima”, per la dirompente forza dei suoi contenuti, fu oggetto di ostracismo da parte dei settori conservatori della società americana e persino da quella del New Mexico, tanto che ne fu vietata la vendita. Il motivo non era da ricercare nella originalità dell’espressione, nella crudezza del linguaggio (che, essendo quello vero e non depurato dalla grammatica era duro, tagliente, incuneandosi nella mente e restandovi conficcato), quanto nel potere destabilizzante del confronto. Perché quando due culture, due modi di vivere e pensare entrano spalla a spalla nella stessa agorà, non è detto che a vincere sia quella del più forte.
Ma Rudolfo Anaya ha proseguito per la sua strada, con altri romanzi che, probabilmente trascinati dal successo del suo libro d’esordio, hanno avuto un discreto successo.
Sostenitore, con la moglie Patricia, morta nel 2010, dell’alfabetizzazione infantile, ha devoluto i proventi delle vendite dei suoi libri per creare un fondo di borse di studio per giovani sfavoriti nel New Mexico. Talvolta Anaya e la moglie ospitavano, nel loro resort, sulle montagne Jemez, nel New Mexico, scrittori che avevano bisogno di un posto tranquillo dove lavorare.
Consegnadogli nel 2016 la National Humanities Medal, l’allora presidente Barack Obama disse che ”le sue opere di narrativa e poesia celebrano l’esperienza dei chicanos e rivelano verità universali sulla condizione umana. E come educatore, ha diffuso l’amore per la letteratura alle nuove generazioni”.