Oggi il Mezzogiorno ha la possibilità di diventare protagonista perché parte da zero, come gli altri: la cultura può essere il cuore della rinascita
Il Lockdown sociale l’ha già raccontato in Aspromonte la terra degli ultimi, uscito prima dell’emergenza. Un film che parla di un Sud in cerca di riscatto e di una strada che segna il confine della dignità e della libertà. Oggi Mimmo Calopresti, uno dei registi che più si avvicina al cinema verità, cerca una verità quasi impossibile nelle strade vuote del post Covid 19. Una verità che possa restituire un senso comune, una risposta univoca per tutto quello che sta succedendo, magari partendo da quei valori universali che il virus sta mettendo a dura prova.
i luoghi comuni antimeridionali e i valori dimenticati
I temi della libertà e della dignità si vestono di significati nuovi, ma anche di elementi surreali e inquietanti: non bastassero le cialtronaggini antimeridionali in Tv, dobbiamo assistere allo spettacolo dei meridionali che chiudono le porte ai propri concittadini. Ti preoccupa di più l’armamentario di luoghi comuni contro il Sud alla Feltri o l’atteggiamento della gente del Sud che sbarra la strada a chi vuol tornare?
«In questo momento di crisi il Mezzogiorno si ritrova a essere al centro della “possibilità” per tutto il Paese. La struttura sanitaria – che è carente – non è stata messa sotto pressione e quindi ha tenuto. Il Nord, invece, è stato messo a dura prova e in alcuni casi non ha retto, come in Lombardia. La presunta supremazia rispetto al resto dell’Italia, in piena crisi ha mostrato delle crepe, anche vistose: per cui questa “cosa” (non saprei definirla altrimenti) dei due Paesi, delle due Italie, non ha senso. Non fa bene all’Italia. Il luogo comune diffuso per cui la gente al Nord lavora e al Sud sta ad oziare è una follia da cui bisogna assolutamente uscire. Bisogna comprendere che il Mezzogiorno può essere trainante per dare al Paese la possibilità di essere unito. Come dice Papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca: se remiamo tutti insieme ce la possiamo fare. Paradossalmente, la crisi può rappresentare un’occasione incredibile per il Sud ma anche per il Nord».
Da questo punto di vista forse è più appropriato parlare di rinascita e non di ripartenza, perché la rinascita ci permette di mettere da parte limiti e zavorre.
«Esattamente. Rinascita. C’è qualcosa che si è fermato, si è bloccato e che non ha funzionato. Quindi bisogna ricostruire da zero. Probabilmente diventeremo tutti più poveri e, per forza di cose, dobbiamo trovare insieme delle risposte positive che aiutino tutti, anche a chi ha meno possibilità o chi si trova in condizioni disagiate».
la parte migliore del sud deve farsi avanti
Parli di una solidarietà diffusa, che però mal si concilia con le immagini del sindaco di Messina, Cateno De Luca, che blocca i siciliani che chiedono di rientrare a casa. Francamente ho provato amarezza a constatare come in tanti inneggiassero a quelle dirette Facebook, mentre donne e bambini erano costretti a dormire in auto. Possiamo ancora considerarci campioni dell’ospitalità e della solidarietà, eredi della cultura magnogreca? O il Coronavirus ha spazzato via anche questo?
«Non credo. La parte migliore del Sud – quella che ha nel proprio Dna i valori della solidarietà – è forte. A mio avviso è anche maggioritaria. Non lo dico a caso, lo dico perché quando ho lavorato al Sud, quando ho girato il film, quando mi sono impegnato a portare risorse lavorative e creative, ho visto che intorno ai progetti importanti si è coagulata la gente migliore. Il problema è solo far vincere le persone per bene. Farle vincere, perché le persone per bene hanno sempre una soluzione. Certo, se poi continuano a prevalere i mafiosi, se diventa predominante la mentalità di quel popolino parassita e pauroso che invoca il salvatore, ecco che il Sud perde. La ‘ndrangheta e le organizzazioni mafiose, con la loro economia, sono “la” scelta perdente per la stragrande maggioranza delle persone. Dobbiamo far vincere la parte che sa, che ha le risorse, la forza, l’energia ma anche la cultura per potercela fare. Solo così vince il Sud migliore. Il Sud migliore è un Sud allargato, è il Sud del mondo che può essere trascinato dal Sud italiano. Oggi il Mezzogiorno ha la possibilità di diventare protagonista perché parte da zero e perché tutti gli altri partono da zero. Se noi non abbiamo paura di scendere in campo, se chiediamo di agire e non solo di essere aiutati, allora possiamo costruire un futuro importante».
le “mosche cocchiere” e le scelte da fare
Parliamo delle dinamiche del Coronavirus e della tenuta delle regioni meridionali. Non ti sembra che ci siano troppe “mosche cocchiere”, che ci sia troppa enfasi sull’efficacia dei provvedimenti regionali? In fondo, se le regioni meridionali hanno pagato un prezzo meno drammatico alla pandemia non è per la loro impeccabile organizzazione, ma semplicemente perché il Lockdown nazionale ha funzionato. Probabilmente, se molti presidenti di Regione del Sud avessero perso meno tempo in inutili conferenze stampa e collegamenti Tv, e più tempo nella ricerca di mascherine e respiratori da acquistare, qualche risultato migliore l’avremmo avuto.
«La verità è che se al Sud il virus è stato contenuto è per merito delle circostanze, oltre che ovviamente dei provvedimenti di chiusura del territorio nazionale. Ma non credo che qualcuno, nelle regioni del Sud possa attribuirsi meriti in tal senso. Molto semplicemente siamo stati fortunati. La struttura sanitaria e logistica meridionale non è stata messa sotto sforzo, probabilmente non avrebbe retto. Ma il fatto che non sia successo deve essere usato a favore dei cittadini. I governatori devono puntare sulla sanità diffusa. Mi ricordo che quando venivo in Calabria c’erano i blocchi stradali con la gente che si ribellava perché chiudevano tutti i piccoli ospedali. E chiudevano perché per il livello centrale rappresentavano solo uno sperpero di denaro. Una scelta che abbiamo pagato duramente dappertutto tranne che nel Veneto, dove invece quelle strutture se le sono tenute ben care e hanno funzionato. Il Governo deve investire in maniera diffusa sulla sanità. Si toglierà il controllo alle Regioni? Può darsi, però sicuramente arriveranno delle possibilità di investimento e di crescita. Ma i cittadini devono cominciare a prendere coscienza e occuparsi delle loro comunità, delle loro strutture territoriali, dei giovani che lavorano, dei progetti di sviluppo al Sud. La cultura per esempio, al Sud come al Nord in questo momento ha bisogno di essere sostenuta. Se tutte le risorse vengono spartite equamente e il Sud ha la possibilità di esprimersi con le sue strutture culturali, allora diventa possibile creare quell’idea di unità che in questo momento, oggettivamente, non c’è. Al Nord c’è un livore sempre troppo forte nei confronti delle persone del Sud».
altro che sagre, seguiamo la lezione del neorealismo
Prima del Coronavirus per alcune regioni meridionali l’investimento in cultura era inteso come fuochi d’artificio, sagra della melanzana del salame. La sagra ovviamente va bene, la valorizzazione dei prodotti e delle tradizioni locali anche, ma non c’è dubbio che negli anni siano stati sperperati centinaia di milioni di euro con dinamiche clientelari, mentre progetti validi venivano bocciati da una politica e da una burocrazia imbarazzanti. Ora si riparte da zero, ma il culturame con la Partita Iva presto ripartirà per batter cassa. Giova ricordare che nel dopoguerra, senza un soldo in tasca, alcuni volenterosi presero una telecamera e arruolarono degli sconosciuti per strada, creando il più grande movimento che il cinema italiano (e probabilmente mondiale) abbia mai vissuto: stiamo parlando di Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Luchino Visconti e del neorealismo italiano. È possibile che il cinema possa rappresentare come nel dopoguerra la rinascita dell’Italia? Il Sud può ripartire dai propri talenti, nel cinema come negli altri settori culturali?
«Assolutamente sì. È in quella direzione che si deve andare, con un cinema ovviamente diverso, ma con quella stessa anima. Una rinascita non può essere realizzata con gli investimenti nelle fiere paesane, che sono bellissime e che ci piacciono tantissimo per l’anima popolare che è parte della nostra vita. Ma bisogna raccontare delle storie che siano capaci di essere “motore”. Nel neorealismo c’era la gente che usciva dalla guerra, lavorava – anzi lavoricchiava – aveva avuto il fascismo e le bombe sulla testa. Gli artisti hanno alzato la testa e guardato quello che stava intorno: e quello che stava intorno era la loro forza creativa, di analisi, di pensiero. Così hanno creato una lettura del mondo che potevano avere solo loro. Oggi quello che manca è un racconto dal punto di vista artistico. E quindi il nostro compito è quello di ricominciare a raccontare la vita con una sensibilità che non è del giornalista, né del politico o dello scienziato, ma di quelle persone che in questo momento riflettono guardando alla vita delle persone. Ora che sono obbligato a stare a casa e guardo la televisione, mi sto accorgendo che in tutti questi anni è mancata una parte del racconto della vita. È come se tutto quello che vedo non abbia più avuto un rapporto con la realtà sincero, onesto. Usando un termine che forse gli artisti possono concedersi, come se non ci fosse stato più un rapporto d’amore con il mondo. Bisogna recuperare una capacità di visione per trasformare la realtà. Quando Rossellini raccontava “Roma città aperta”, insieme alle macerie, al fascismo, al nazismo, alla povera gente che veniva vessata, ci mostrava un grande sentimento di trasformazione, di futuro, di cambiamento. Cioè faceva diventare le persone protagoniste della loro vita. Questo protagonismo oggi è probabilmente soffocato, non c’è una critica al Governo, che peraltro fa tutto quello che può e che, probabilmente, deve fare in questo momento: più forte di tutto in questo momento è la scienza, più forte di tutto è la tecnologia».
la piazza vuota di Francesco e il nuovo cinema
Non chiamiamolo neorealismo, comunque ci sarà un cinema del dopo coronavirus e con quello poi tutti dovremo confrontarci.
«Ci sarà un cinema del dopo Coronavirus perché è qualcosa che è andato oltre, “al di là”. L’immagine più potente di questo nuovo cinema è quella di Papa Francesco nella Piazza San Pietro deserta. Ma ancor di più la Via Crucis, dove Francesco sceglie una scenografia assolutamente stratosferica e surreale, decidendo di raccontare gli ultimi, chi ha fatto il male e non chi ha fatto il bene, mettendosi contro metà della Chiesa e della borghesia. Quella piazza vuota, quelle persone che giravano con la Croce, questa Roma deserta, quasi post-atomica, è già il nuovo racconto cinematografico. Il cinema non si ferma, è movimento, è la possibilità di mettere in azione una situazione. Ma per costruire il nuovo cinema dobbiamo essere capaci di salvare il sistema cinema. Oggi chi rischia di più di tutti sono le sale. Il cinema in sala ha ancora senso del post Coronavirus? Penso di sì. Io voglio vedere un film, ma come fatto sociale non come fatto privato. Se difendiamo la sala difendiamo il nuovo il cinema, inteso anche come luogo di confronto e scontro tra gli individui e mondo. Dobbiamo affrontare il cinema nella complessità. Ho vissuto, creduto e credo ancora nel Sud perché certi contenuti culturali che arrivano da quel mondo continuano a essere assolutamente predominanti. L’idea di viaggio, di conoscenza omerica non morirà mai. E grazie a Dio quest’idea nasce al Sud».