Un Mezzogiorno in ritardo su tutto: il rapporto della Banca d’Italia

Divari economici e sociali sempre più ampi, debolezze strutturali, un peso economico sempre minore rispetto al Nord, un mercato del lavoro poco dinamico e non in grado di trattenere i giovani. Sono alcune delle piaghe del Sud che emergono dal rapporto della Banca d’Italia “Il divario Nord-Sud: Sviluppo economico e intervento pubblico” presentato qualche giorno fa al Centro convegni Carlo Azeglio Ciampi di Roma.

Il documento riassume i risultati di un progetto di ricerca svolto dalla Banca d’Italia negli ultimi due anni ed evidenzia le maggiori criticità di un Mezzogiorno in ritardo sostanzialmente su tutto. La situazione è molto più preoccupante rispetto a quella fotografata da un primo rapporto di oltre dieci anni fa: “i divari si sono allargati e la questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale.


Nel decennio precedente alla pandemia è aumentata la forbice con il Nord in termini di occupazione e pil Pro capite. In generale si documenta un mercato del lavoro poco dinamico, dove i bassi livelli di occupazione sono la causa principale della disuguaglianza dei redditi delle famiglie. Molto alta la presenza di Neet e in generale le donne sono le più penalizzate sul mercato del lavoro. Si prevede che da qui al 2040 mentre al Nord ci sarà un calo della popolazione giovane del 14%, al Mezzogiorno la percentuale toccherà il 24%.

Il tessuto produttivo e le ipotesi per invertire la tendenza

Il sistema produttivo è caratterizzato principalmente dalla presenza di microimprese, oltre che per la bassa densità di attività manifatturiere e e la specializzazione nei servizi a minore valore aggiunto che rendono difficile l’accesso ai mercati internazionali. Pesano in maniera decisiva, inoltre, sullo sviluppo dei territori, i ritardi nella dotazione di infrastrutture e nell’erogazione di servizi pubblici.

Per invertire il trend, il rapporto evidenzia la necessità di migliorare la qualità dell’azione pubblica, di sistematizzare gli interventi pubblici e la qualità delle risorse umane e tecnologiche della pubblica amministrazione, ma anche l’iniziativa privata al fine di ridurre i gap infrastrutturali del Mezzogiorno e sfruttare il potenziale di sviluppo delle sue città, per contrastare la tendenza al declino economico e demografico dell’area. In tale senso centrali sono gli 82 miliardi che il Pnrr destina alle regioni del Sud.

Il commento di Bianchi (Svimez): Il Mezzogiorno non è la zavorra del Paese

Sul rapporto si è espresso il direttore di Svimez Luca Bianchi, per cui il Mezzogiorno non è stato la zavorra del Paese perché sè è vero che il Sud “è scivolato verso l’estrema periferia d’Europa, aanchel e cosidette regioni forti del Paese fanno decisamentepeggio rispetto alle regioni core del continente. Il Pil pro capite della Lombardia nel 2000 era il 170% della media UE, nel 2019 è precipitato al 127%; il Piemonte è passato dal 141% al 102%. Secondo Bianchi quindi si tratta di un problema paese: come spiega in un’intervista “il differenziale tra aree forti del Paese (il nostro Nord) e le aree forti d’Europa è addirittura aumentato più di quanto non sia aumentato il divario tra aree deboli come il Mezzogiorno e le altre aree deboli d’Europa”.

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