Lavoro: l’effetto Covid pesa di più sui meno istruiti, soprattutto al Sud

Chi ha subito maggiormente le ripercussioni dell’emergenza pandemica sono state le persone con minori livelli di istruzione. Non è una novità: il livello di istruzione è uno degli elementi più incisivi nel determinare la stabilità economica favorendo l’accesso a carriere più stabili e redditizie. Anche dopo la recessione del 2008, le analisi Ocse rilevavano lo stesso trend. Dopo entrambe le crisi l’aumento della disoccupazione è stato generalizzato, ma ha colpito soprattutto le persone meno scolarizzate, più vulnerabili sul mercato del lavoro.

Dopo la pandemia, il Sud risulta ancora più indebolito sotto il profilo occupazionale. Il calo degli occupati è stato pari al 2,1%, come rileva il dossier ‘Il lavoro nel Mezzogiorno tra pandemia e fragilità strutturali’ della Fondazione studi consulenti del lavoro.

Come rileva Openpolis, tra il 2019 e il 2020 il calo di occupazione ha raggiunto i tre punti percentuali fra i giovani tra i 30 e i 34 anni con al massimo un titolo di studio secondario inferiore: il decremento per i loro coetanei con livello di studio superiore è stato di pochi decimi. In effetti tra i giovani con una laurea la flessione è di 0,6 punti. Per chi è in possesso di un solo diploma, il calo è di 1.3 punti, mentre per chi ha la licenza media di 3,5.

Già prima del 2020, i dati dei test INVALSI e delle classifiche Ue rilevavano un livello di istruzione fragile. Nel rapporto Education at a glance 2021 dell’Ocse emerge un’Italia che investe poco in istruzione. Durante la pandemia solo Repubblica Ceca, Polonia e Turchia hanno chiuso i licei per più giorni di noi (90, contro una media di 70 per tutti i paesi industrializzati). A livello nazionale, il crollo di apprendimento è stato più marcato nelle regioni dove le scuole sono state chiuse più a lungo – Puglia e Campania in testa.

Guardando la cartina, le tre regioni con livelli minori di occupazione giovanileSicilia, Campania e Calabriasono quelle con gli apprendimenti più bassi in terza media. Nell’anno 2020/1, i test INVALSI fotografano una cartina divisa a metà. I maggiori risultati si registrano nel Nord-Est, con 202,5 come punteggio medio a fronte di un dato nazionale di 196. Seguono il Centro Italia (199,3), il Nord-Ovest (198,6) e il Sud, che nella ripartizione Invalsi comprende solo Abruzzo, Campania, Molise e Puglia, con 190,6. Un punteggio significativamente inferiore alla media italiana lo ha la ripartizione Sud e isole, che comprende Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

Il rapporto Svimez 2021 aveva registrato una diminuzione del 15% della spesa in istruzione in Italia. La flessione nella spesa è stata molto più marcata nelle regioni del Mezzogiorno, con un calo del 19%. Al centro Nord la riduzione è del -13%. Le regioni con i punteggi INVALSI minori di 190 sono Sardegna, Campania, Sicilia e Calabria. Non sorprende che la maggior parte dei capoluoghi con i minori punteggi per le terze medie in italiano siano nel Mezzogiorno. Tra queste ben 6 delle 15 province siciliane – Trapani, Palermo, Messina, Caltanissetta, Catania e Siracusa. Tra le peggiori 15, i comuni pugliesi  di Taranto, Trani, Barletta e Brindisi, quelli calabresi di Crotone e Vibo Valentia e uno campano (Napoli).

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