Mentre si attende il referendum di giugno che potrebbe dimezzare i tempi per gli stranieri, ci sono tanti oriundi aspiranti italiani col fiato sospeso per una possibile riforma che invece, potrebbe stringere la cinghia
Si parla tanto del referendum sulla cittadinanza, che l’8 e il 9 giugno potrebbe dimezzare da 10 a 5 anni il tempo per ottenerla per gli stranieri regolarmente risiedenti in Italia, con una potenziale ricaduta interessante soprattutto per i minori. Ma c’è tutto un altro pezzo di aspiranti italiani col fiato sospeso, da qualche settimana a questa parte, per una possibile riforma che invece, sul passaporto italiano, potrebbe stringere la cinghia: è il pezzo dei cosiddetti oriundi, stranieri con origini italiane.
CITTADINANZA, UNA COSA SERIA
“La cittadinanza deve essere una cosa seria”: l’ha ribadito più volte il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, illustrando in conferenza stampa il 28 marzo quanto approvato poco prima dal Consiglio dei ministri. Un decreto legge, quindi con urgenza e con effetto immediato, per introdurre una ‘stretta’ in merito all’acquisizione della cittadinanza da parte degli italo-discendenti, accompagnato da due disegni di legge.
Una nuova normativa che interviene a modificare la legge del 1992, che estendeva ai discendenti la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana: una svolta arrivata come segno di riconoscimento per il contributo fondamentale dato dagli italiani all’estero al nostro Paese e alla nostra economia, anche attraverso le rimesse, valorizzando il principio dello Ius sanguinis. Solo che evidenti fenomeni distorsivi, in atto da tempo, hanno reso necessario l’intervento dell’esecutivo.
“Non verrà meno il principio dello ius sanguinis – ha precisato Tajani – e molti discendenti degli emigrati potranno ancora ottenere la cittadinanza italiana, ma poniamo limiti precisi soprattutto per evitare abusi o fenomeni di ‘commercializzazione’ dei passaporti italiani”.
Effetti distorsivi evidenziati dai numeri forniti dal governo: dalla fine del 2014, infatti, i cittadini residenti all’estero sono aumentati da circa 4,6 milioni a 6,4 milioni, e i procedimenti giudiziari pendenti per l’accertamento della cittadinanza sono oltre 60mila, con l’Argentina che è passata dai circa 20mila del 2023 a 30mila riconoscimenti già l’anno successivo, e il Brasile da oltre 14mila nel 2022 a 20mila lo scorso anno.
CITTADINANZA, FAVOREVOLI E CONTRARI
Una volta licenziato da Palazzo Chigi, il decreto legge ha iniziato il suo percorso a Palazzo Madama, in Commissione Affari costituzionali, dove erano già in discussione diversi disegni di legge in materia di riacquisto della cittadinanza. E certamente non sono mancati i rilievi critici, come testimoniato da un intenso ciclo di audizioni informali, nel corso del quale è stata espressa preoccupazione per la “radicalità” del cambiamento.
L Fondazione Migrantes, ad esempio, ha registrato nel mondo della nostra emigrazione all’estero “il disorientamento per un cambiamento così estremo, per alcuni difficilmente comprensibile, alla luce della storia migratoria italiana e della diffusione dell’italianità a livello internazionale”.
Da una delle leggi più generose a una delle più restrittive, in 24 ore: di “cambiamento repentino” parla anche Maria Chiara Prodi, alla guida del Consiglio generale degli Italiani all’estero. Tant’è che all’indomani del via libera del decreto da parte del Cdm, sono arrivate sul tavolo del Cgie migliaia di domande, perplessità, richieste di chiarimenti da parte dei tanti italo-discendenti che il “parlamentino” degli italiani nel mondo rappresenta.
GLI EMENDAMENTI DI TUTTI I GRUPPI
Rilievi critici che si sono poi tradotti, al termine delle audizioni, nella presentazione di un centinaio di emendamenti, da parte di quasi tutti i gruppi sia di maggioranza che di opposizione, che verranno esaminati a partire da domani. “Non si può far finta di ignorare lo scandalo della vendita delle cittadinanze, con un mercato ormai miliardario che coinvolge associazioni, organizzazioni professionali, avvocati, gente corrotta a vario titolo che vende false certificazioni” ricorda il senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia, che comunque ha presentato diverse proposte emendative al testo del governo.
“Il passaporto italiano fa molta gola, ti fa entrare negli Usa e ti rende cittadino comunitario. Ho cercato – racconta il parlamentare di maggioranza – di ascoltare i suggerimenti arrivati dalle audizioni: penso al presidente della Corte di appello di Venezia, che ci ha riferito come il 75% del contenzioso civile della città oggi è costituito da richieste di cittadinanza, che intasano altre pratiche. O comuni di montagna che hanno 600 abitanti veri e 3mila brasiliani iscritti all’Aire. Così non funziona”.
CITTADINANZA, LA STRETTA
Facendo un passo indietro, nello specifico, lo spirito dei provvedimenti del governo è quello di rafforzare la necessità di un vincolo effettivo e affettivo con l’Italia da parte dei figli nati all’estero da cittadini italiani. Questo anche al fine di un allineamento con gli ordinamenti di altri Paesi europei e per garantire la libera circolazione nell’Unione Europea solo da parte di chi mantenga un legame reale con il Paese di origine. Le nuove norme prevedono che i discendenti di cittadini italiani, nati all’estero, saranno automaticamente cittadini solo per due generazioni: solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà cittadino dalla nascita.
I figli di italiani acquisteranno automaticamente la cittadinanza se nascono in Italia oppure se, prima della loro nascita, uno dei loro genitori cittadini ha risieduto almeno due anni continuativi in Italia. In uno dei due ddl approvati, invece, il governo introduce ulteriori e più approfondite modifiche alla legge sulla cittadinanza, imponendo innanzitutto ai cittadini nati e residenti all’estero di mantenere nel tempo legami reali con il nostro Paese, esercitando i diritti e i doveri del cittadino almeno una volta ogni venticinque anni.
IL SOSTEGNO ALL’IMMIGRAZIONE DI RITORNO
Nello stesso tempo l’obiettivo è quello di rafforzare il sostegno all’immigrazione di ritorno (“ma non gli imbrogli”, ha specificato Tajani) prevedendo ad esempio che il figlio minore di genitori cittadini (sempre che non nasca già cittadino) acquisterà la cittadinanza se nasce in Italia o se viene a viverci per due anni, con una semplice dichiarazione di volontà dei genitori, e confermando che chi ha perso la cittadinanza potrà riacquistarla, ma solo se risiede in Italia per due anni.
Nell’altro ddl, approvato nella medesima seduta del Consiglio dei ministri, invece l’obiettivo è quello di rafforzare i servizi per i cittadini e le imprese all’estero: il testo, a completamento della riforma sul riconoscimento della cittadinanza, ne rivede le procedure, in modo tale che i residenti all’estero non si rivolgeranno più ai consolati, ma ad un ufficio speciale centralizzato alla Farnesina.
CITTADINANZA, COSA PENSANO GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Tornando alle critiche, secondo Maria Chiara Prodi a sollevare dubbi è sia la forma (“Ci siamo trovati a gestire una modifica improvvisa”) che la sostanza, sciogliendo il nodo relativo al requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia, o averci vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente.
“Auspichiamo che nel percorso parlamentare di conversione in legge si apportino correttivi al provvedimento”, chiosa la segretaria generale del Cgie. Le rappresentanze degli italiani all’estero non sono state ascoltate, è l’accusa mossa da più parti. Anche se nel Cgie non tutti sono d’accordo.
“Già alla plenaria di giugno il ministro Tajani aveva invitato il nostro Consiglio a farsi parte attiva fornendo un proprio contributo sulla materia, invito poi ribadito dal sottosegretario agli Esteri Silli durante i successivi incontri con il Comitato di Presidenza. Ho tentato più volte di richiamare l’attenzione sul tema invitando a concretizzare la nostra posizione, su cui devono convergere diverse sensibilità; invece, si è perso terreno facendosi scavalcare dagli eventi”, spiega Giuseppe Stabile, vicesegretario generale del Cgie per l’Europa, in area centrodestra.
Stabile esprime rammarico per il fatto che da più parti, dentro e fuori il Cgie, si lamenta che il Consiglio Generale non sia stato consultato. “Crediamo che la riforma fosse improcrastinabile e lo strumento del decreto-legge necessario, data l’urgenza di porre un freno alle molte distorsioni in atto”. Ma “tutto è migliorabile – conclude Stabile – se in sede parlamentare ci saranno eventuali emendamenti migliorativi, li accoglieremo con favore”.
CITTADINANZA, IL LAVORO IN SENATO
In Commissione il dibattito è stato caratterizzato da una dialettica a tratti accesa: “Speravo sinceramente – affermava qualche giorno fa Francesca La Marca, senatrice Pd eletta in Nord America – che alla luce delle criticità emerse durante le audizioni, questa maggioranza decidesse di fare un passo indietro. E invece, si è scelta ancora una volta la via del decreto-legge, uno strumento d’urgenza, per intervenire su una materia tanto delicata, comprimendo il tempo del dibattito parlamentare ed evitando un confronto autentico tra visioni diverse”.
Entrando nel merito del provvedimento, la senatrice aveva sottolineato come la scelta di introdurre un limite di due generazioni per il riconoscimento della cittadinanza per discendenza penalizzi gravemente migliaia di italo-discendenti legati all’Italia da profondi vincoli culturali, affettivi e identitari: “Anziché introdurre criteri più equi, come una verifica della conoscenza della lingua italiana o della cultura civica si è preferito un taglio netto, indiscriminato. Una misura che colpisce anche chi studia l’italiano, visita regolarmente l’Italia, possiede proprietà o ha investimenti nel nostro Paese”.
PROPOSTE CORRETTIVE ANCHE DALLA MAGGIORANZA
Proposte correttive, come accennato in precedenza, sono arrivate anche da parte della maggioranza, come da parte del senatore Menia: “Era giusto mettere uno stop. Il governo mette il tetto di due generazioni per la trasmissione dell’italianità, mentre un emendamento a mia firma, ricalcando il mio ddl, propone di fissarlo a tre generazioni”.
Inoltre, Menia ha presentato una serie di emendamenti che tendono ad avvicinare gli oriundi al nostro Paese, “offrendo loro – spiega – un percorso privilegiato tramite un contratto di lavoro di due anni in Italia, propedeutico alla riacquisizione della cittadinanza: così si ricostruisce un legame effettivo e affettivo tra queste persone e l’Italia, e nello stesso tempo ciò serve anche a un Paese che è in via di spopolamento, a crescita zero e che ‘importa’ tanti immigrati. Potremmo in questo modo ripopolare zone spopolate e recuperare competenze. Credo che siano una serie di emendamenti condivisibili”.
In bilico tra apertura e chiusura, tra radici e futuro, anche questo dibattito sulla cittadinanza, così come quello del referendum, racconta molto più di una norma: forse, in ballo, c’è l’idea stessa della nuova italianità che vogliamo costruire.
Fonte 9Colonne