L’Ue ha compiuto negli anni grandi passi avanti nel potenziamento della cooperazione per la difesa: ma potrebbero essere insufficienti, date le crescenti tensioni geopolitiche fra gli stati e i recenti sviluppi che fanno intendere come il tempo per l’Europa sia quasi esaurito
L’Unione Europea, e il continente tutto, si trovano ad un bivio cruciale nel suo percorso di integrazione e sicurezza. I progressi compiuti negli anni dall’Europa in materia di cooperazione per la difesa, seppur significativi, appaiono sempre più inadeguati di fronte al panorama geopolitico in rapida evoluzione.
L’Europa e il dilemma difesa: cosa fare se gli USA si sfilano?
Le crescenti tensioni tra gli stati, le instabilità regionali e globali, e soprattutto, la possibilità concreta di un ridimensionamento del coinvolgimento degli Stati Uniti nella NATO, pongono l’Europa di fronte a una domanda ineludibile: è realmente in grado di garantire la propria sicurezza e stabilità senza l’ombrello protettivo americano? La risposta a tale quesito è tutt’altro che semplice. Da un lato, l’aspirazione a una completa autonomia strategica europea rappresenta un obiettivo ambizioso e potenzialmente realizzabile. Tuttavia, il raggiungimento di tale autonomia comporterebbe costi economici ingenti e trasformazioni politiche di vasta portata, che metterebbero a dura prova la coesione e la volontà degli stati membri.
Per decenni l’Europa ha fruito del “paracadute”
Per decenni, l’Europa ha beneficiato di una sorta di “paracadute” militare fornito dagli Stati Uniti, che hanno garantito non solo la deterrenza nucleare, ma anche un supporto logistico, tecnologico e di intelligence fondamentale. Questo “ombrello”, se da un lato ha assicurato una relativa stabilità, dall’altro ha inevitabilmente limitato le ambizioni del Vecchio Continente, frenandone il completo sviluppo in termini di cooperazione militare e capacità di proiezione.
Nuove possibilità per un esercito europeo?
Il contesto internazionale attuale è caratterizzato da una rapida e profonda trasformazione. Eventi come la crisi in Ucraina, le persistenti tensioni con la Russia e le continue instabilità in Medio Oriente hanno messo in luce le fragilità intrinseche di un sistema di sicurezza tradizionalmente orientato verso l’alleanza transatlantica. Le politiche degli Stati Uniti, sempre più spesso improntate a un approccio unilateralista, hanno ulteriormente alimentato le incertezze e spinto molti leader europei a riconsiderare la necessità di una strategia comune che vada oltre il modello tradizionale della NATO.
Europa, la questione cruciale della difesa comune

In questo scenario complesso e mutevole, la visione di una difesa comune europea, promossa con forza in particolare dal Presidente francese Emmanuel Macron, ha riportato al centro del dibattito una questione cruciale, rimasta a lungo sopita: la creazione di un esercito europeo. Nell’ambito di questa futura (ed eventuale) sinergia militare europea, sempre il Presidente francese ha inoltre rilanciato, sostenendo l’idea della creazione di uno “scudo nucleare francese”che (almeno in ipotesi) possa sostituire l’attuale “Nuclear Sharing Program” messo a punto dall’Alleanza Atlantica.
Da dove nasce l’idea di esercito europeo e come si concretizzerebbe?
L’idea di un esercito europeo non è certo una novità nel panorama politico e strategico del continente. Già in passato, si sono registrati tentativi, purtroppo falliti, di costituire una forza di difesa integrata, come dimostrano l’esperienza dell’Unione Occidentale e, soprattutto, il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED), affossata dal voto contrario di Francia e Paesi Bassi.
Una significativa evoluzione
Nonostante le difficoltà e le resistenze incontrate in passato, il concetto di un esercito europeo ha subito una significativa evoluzione negli ultimi anni. Oltre a rappresentare un’opportunità per unire le forze e le competenze dei singoli stati membri, esso simboleggia un passo fondamentale verso una maggiore autonomia strategica e, di conseguenza, verso una indipendenza geopolitica attualmente limitata. L’obiettivo primario è quello di creare una struttura militare integrata, dotata di una capacità di risposta rapida ed efficace alle minacce, riducendo la dipendenza da alleati esterni e favorendo una maggiore coesione politica e militare tra i paesi europei. Tuttavia, la strada verso la realizzazione di un esercito europeo è irta di ostacoli e interrogativi. Attualmente, si delineano principalmente due alternative per la sua costituzione.
Europa, la prima alternativa per l’esercito comune
La prima, caldeggiata con forza dal Presidente francese, prevede la creazione di una forza armata comunitaria, costituita dall’insieme delle forze armate dei vari stati membri dell’Unione Europea, poste sotto un comando unificato e dipendente dall’Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune. Questa opzione, tuttavia, solleva una questione spinosa: quale sarebbe il futuro della NATO? Il punto, implicitamente affrontato dalla Francia, è che tale opzione presupporrebbe la dissoluzione dell’Alleanza Atlantica.
I dati sui militari attivi
Secondo l’Istituto Bruegel, l’Europa, Regno Unito compreso, dispone attualmente di circa 1,47 milioni di militari in servizio attivo, ma l’efficacia di tale contingente è compromessa dalla mancanza di un comando unificato. La NATO, al contrario, si basa sul presupposto che il Comandante supremo alleato per l’Europa sia un generale statunitense di alto livello, una condizione che implica la leadership e il supporto strategico degli Stati Uniti. Pertanto, tale struttura di comando cesserebbe di esistere qualora la NATO venisse sciolta.
Europa, la seconnda alternativa
La seconda alternativa, sostenuta da altri paesi membri, si concentra sulla costituzione di un organismo per la ripartizione delle forniture militari e di un comando militare unificato (che per altro rappresenta una realtà già esistente a livello comunitario), a cui gli stati membri possano aderire su base volontaria e, soprattutto, senza dover rinunciare a ulteriori quote della propria sovranità a favore delle istituzioni comunitarie. Questa opzione sembra essere quella preferita dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, che ha recentemente annunciato un maxi-piano di investimenti comunitari del valore complessivo di 800 miliardi di euro in materia di difesa.
Quali sono gli ostacoli alla realizzazione di un esercito europeo?
La realizzazione di un progetto così ambizioso si presenta estremamente complessa, soprattutto alla luce delle differenti tradizioni militari, delle disparità di risorse economiche e delle diverse priorità politiche dei paesi membri, che storicamente si sono dimostrati restii ad abbracciare forme di integrazione comunitaria in ambito militare. Uno degli ostacoli principali alla creazione di un esercito europeo risiede nella diversità di visioni e interessi interni, come già ravvisabile nel tentativo di istituire l’iniziativa “Sky Shield” per la difesa missilistica comunitaria. Tuttavia, l’aggravarsi delle crisi internazionali, come il conflitto russo-ucraino e la situazione nella Striscia di Gaza, ha contribuito a sensibilizzare i cittadini europei sull’importanza di una politica di sicurezza comune più efficace e avanzata.
I dati di Eurobarometro
I dati del 2022 pubblicati da Eurobarometro rivelano che l’81% della popolazione dell’UE è favorevole a una politica comune di difesa e sicurezza, con un sostegno di almeno i due terzi in ogni paese. Inoltre, circa il 93% concorda sull’importanza di agire insieme per difendere il territorio dell’UE, mentre l’85% ritiene che la cooperazione in ambito difensivo debba essere potenziata a livello dell’UE. I leader europei, compresi quelli di paesi esterni all’Unione, sembrano aver compreso che nessuno stato membro può affrontare da solo le crescenti minacce alla sicurezza.
Europa, ispirazioni e realtà concreta
Nonostante questa crescente consapevolezza, è fondamentale considerare che le decisioni in materia di difesa sono ancora percepite dagli stati come una prerogativa fondamentale, strettamente connessa agli interessi nazionali. Pertanto, l’ipotesi che 27 stati europei, con l’aggiunta del Regno Unito (Il cui PM Kier Starmer ha avvertito l’Europa della “necessità di investimenti coordinati in materia di politica di difesa comune”), possano rapidamente creare una catena di comando con un unico centro decisionale e uno stato maggiore capace di coordinare le azioni dei paesi “volenterosi” appare, allo stato attuale, altamente improbabile.
La questione del comando e del coordinamento
La questione del comando e del coordinamento strategico rimane al centro del dibattito. La definizione di una struttura gerarchica comune, in grado di integrare efficacemente le forze armate di diversi stati, solleva interrogativi non solo di natura tecnica, ma anche politica: chi avrà la responsabilità di definire le priorità operative e strategiche? Quale sarà il ruolo di Bruxelles in un contesto di difesa comune? Tali domande richiedono risposte chiare e condivise per poter realmente avanzare verso una vera integrazione militare europea.
Europa e difesa comune: quale futuro?
Questi interrogativi assumono un’importanza ancora maggiore alla luce di una possibile nuova politica isolazionista degli Stati Uniti, soprattutto se guidati da un presidente come Donald Trump. Secondo uno studio congiunto di Bruegel e del Kiel Institute for the World Economy, l’Europa dovrebbe reclutare 300.000 nuovi soldati, acquistare 1.400 nuovi carri armati e raddoppiare la spesa per la difesa nei prossimi cinque anni per essere in grado di difendersi senza il supporto americano. Per raggiungere l’autosufficienza in materia di difesa, l’Europa dovrebbe investire 250 miliardi di euro del PIL in più all’anno nel breve termine, al fine di creare 50 nuove brigate con 300.000 nuovi soldati e compensare la presenza dei soldati statunitensi. Inoltre, sarebbero necessari 1.400 carri armati, 2.000 veicoli da combattimento per la fanteria e 700 pezzi di artiglieria.
Europa, come superare le divisioni?
Resta quindi da vedere se e come i vari governi nazionali saranno in grado di superare le divisioni e mettere da parte gli interessi nazionali per costruire una difesa comune che possa realmente rispondere alle esigenze di un continente in cerca di nuove certezze, a seguito di un possibile “abbandono” americano.
Fonte Geopolitica