Per documentare la straordinaria e inesauribile storia delle donne della Palestina, della loro Resistenza, della loro tenacia, della loro umanità ferita, violata, calpestata, ma mai vinta, mai sottomessa, occorrerebbe narrare 78 anni di storia. 78 anni di violazioni quotidiane e pianificate contro qualsiasi concetto di umanità, di rispetto dei diritti civili, sociali e umani minimi inalienabili.
Lasciamo parlare le donne palestinesi di oggi, ancora, caparbiamente e infaticabilmente in prima fila a difendere i propri figli, le proprie famiglie, le proprie comunità, la propria terra, il proprio popolo, la propria Patria violentata e negata.
Nel mezzo della guerra e delle avversità, accendere i riflettori sulle donne resilienti e spesso tralasciate della Striscia di Gaza e della terra palestinese, che sopportano il peso del conflitto e delle difficoltà è imperativo. Le loro storie di coraggio, perseveranza e resistenza meritano di essere narrate.
Durante il conflitto in corso a Gaza, le donne hanno svolto ruoli molteplici, come custodi, assistenti, attiviste e pilastri di forza all’interno delle loro comunità.Nonostante le sfide immense, spargimenti di sangue, sfollamenti, perdita di persone care e limitatissimo accesso alle risorse, queste donne hanno continuato a mostrare un’incrollabile resilienza e determinazione a ricostruire le loro vite e comunità, e il loro impegno per le future generazioni di Gaza è imprescindibile. In ogni crisi, le donne a palestinesi sono state in prima linea negli sforzi umanitari, fornendo un sostegno essenziale alle loro famiglie e comunità.Dal garantire l’accesso al cibo e all’assistenza sanitaria, alla difesa dei diritti dei più vulnerabili, i loro contributi sono indispensabili per la sopravvivenza e il sostentamento delle loro comunità. Una spina dorsale di una società frammentata e sconfortata.
La nostra sordità collettiva alle storie delle donne palestinesi deve finire per il bene delle generazioni future e del mondo.
le donne palestinesi si raccontano
Freddo, alluvione e sofferenze materne
la storia di Fida, madre palestinese dal cuore di Gaza
Fida, madre palestinese di 7 figli, sta lottando per la sopravvivenza della sua famiglia e lavora anche come operatrice umanitaria a Gaza. Per lei la parte più dolorosa di questa crisi è l’impatto sui suoi figli. “La sfida più grande è mantenerli in salute“, afferma. “Il freddo e l’umidità li rendono più vulnerabili alle malattie e l’accesso a cure mediche è molto limitato“.
Con l’arrivo dei rigidi mesi invernali a Gaza, innumerevoli famiglie cercano disperatamente di sopravvivere. Una di queste famiglie appartiene a Fida Soboh, una donna di 39 anni e madre di 7 figli, che vive in una tenda di fortuna dopo essere stata sfollata a causa della guerra. Originaria della città di Zahra, Fida rappresenta le sfide inimmaginabili affrontate dai rifugiati di Gaza, dove i fragili rifugi non offrono alcuna protezione dalle forti piogge e dalle temperature gelide.

Fida racconta:
“La nostra tenda è costantemente un problema a causa del suo tessuto sottile. Non importa quante maglie indossiamo o abbiamo coperte, non possiamo sfuggire alla pioggia che penetra nella tenda e bagna i nostri letti e vestiti. Cucinare è difficile e i pasti sono spesso freddi. I bambini cercano di studiare, ma la mancanza di luce e di calore rende la cosa quasi impossibile. Il freddo e l’umidità hanno avuto ripercussioni sulla loro salute e dobbiamo lavorare ogni giorno per tenerli al caldo, all’asciutto e al sicuro.
“La sera, nel letto, nell’unica stanza, si è in molti: uomini e donne, giovani e vecchi, fino a sedici, diciotto anni, in un solo ambiente. Nemmeno a letto si riesce a riscaldarsi, perché le lenzuola, le coperte, il materasso, sono bagnati e anche le mura muffiscono, come l’interno dei pozzi. A letto si ricevono calci e gomitate, perché si sta uno sull’altro e non si riesce mai a rivoltarsi. La mattina si è stanchi e ci si sente incattiviti. Non si sa più sorridere, non ci si scambia una parola buona. I bambini crescono così…”.
Nonostante queste difficoltà, Fida non si è concentrata solo sulla sopravvivenza della sua famiglia. Si impegna anche molto come volontaria per portare aiuto e sollievo alle persone della sua comunità. Persone che affrontano problemi simili. L’unione delle esperienze personali con l’impegno ad aiutare gli altri, ha reso Fida un simbolo di resilienza e determinazione, anche di fronte a sfide inimmaginabili.
Fida è uno degli 1,6 milioni di palestinesi, su un totale di 1,9 milioni di sfollati, che vivono in tende e rifugi temporanei; Luoghi in cui spesso non c’è altro che plastica. Questi rifugi forniscono una protezione minima dal freddo e dalla pioggia che hanno già causato inondazioni diffuse. Spesso, centinaia di rifugi temporanei sono stati sommersi dalle acque alluvionali, lasciando le famiglie in una situazione ancora più disperata di prima.
La lotta di Fida dopo la perdita del marito
L’anno scorso, Fida ha dovuto affrontare il martirio del marito per mano degli aggressori israeliani. “La perdita di mio marito ha lasciato un vuoto emotivo e pratico enorme. Era il pilastro della nostra vita, ci dava stabilità e sostegno. Senza di lui, devo svolgere il ruolo di entrambi i genitori, il che è molto difficile. Dal punto di vista finanziario, la sua assenza ci ha resi ancora più vulnerabili, soprattutto ora che le risorse sono più limitate che mai… I miei sentimenti sono un misto di resistenza e speranza che la nostra sofferenza finisca e che un giorno saremo in grado di costruire una vita dignitosa e in pace… In quest’inverno sono già morti congelati circa 10 bambini e si prevedono altri decessi se non arriveranno aiuti urgenti. È stato anche lanciato l’allarme: se le restrizioni alla distribuzione degli aiuti non verranno revocate, altri bambini moriranno di freddo….”.
Il messaggio urgente di Fida al mondo
“…Voglio che la gente capisca che noi palestinesi non siamo solo statistiche. Siamo persone vere con sogni, famiglie e speranze per il futuro. Freddo, inondazioni e sfollamenti non sono problemi temporanei; sono problemi persistenti che erodono la nostra dignità e sicurezza. Vogliamo che il mondo ci veda, riconosca la nostra umanità e ci aiuti a ricostruire le nostre vite… IN PACE.”