Considerazioni a partire da un incontro sul libro di Massimo Franco. Ancora oggi è difficile parlare del Craxi statista e del suo lascito politico, che potrebbe essere di grande aiuto nell’interpretare i tempi attuali
Chi era davvero Bettino Craxi, qual è il suo lascito politico? E, soprattutto, l’Italia è migliorata o è peggiorata senza di lui?
Ho cercato parte di queste risposte a un incontro della Fondazione Besso, istituzione vivace e importante punto di riferimento per la diffusione e promozione della cultura a Roma e in tutta Italia. Occasione ghiotta la presentazione del libro di Massimo Franco “Il fantasma di Hammamet, perché l’ombra di Bettino Craxi incombe ancora sull’Italia”, con relatori di primo livello: Lucio Caracciolo, Pierferdinando Casini e Giovanni Orsina moderati da Luigi Contu. Dico subito che ho trovato tanti stimoli importanti, ma non ho trovato risposte alle mie domande, almeno a quelle iniziali.
CRAXI, UOMO SOLO SULLA COLLINA DEGLI SCIACALLI E DEI SERPENTI
È ancora difficile separare la figura di Craxi statista dal Craxi di Hammamet, figlio della battaglia persa tra la magistratura e la politica: un uomo solo, che una volta fu l’uomo più potente d’Italia, confinato in “una villa in Tunisia sulla «collina degli sciacalli e dei serpenti”. Hammamet, come spiega efficacemente il libro, non è solo “il luogo scelto da Bettino Craxi per sfuggire ai processi di Mani pulite, ma è anche la metafora politica della fine della Prima Repubblica e delle sue scorie mai del tutto smaltite”.
L’ALTRO CRAXI E LE INQUIETUDINI DI OGGI
Cercare l’altro Craxi significa cercare il senso delle inquietudini di oggi. Significa partire dal Craxi che ha sfidato lo strapotere Usa nel caso di Sigonella, che ha sfidato Reagan tenendo per la prima volta alta la bandiera dell’Italia nel dopoguerra, e chiedersi cosa farebbe oggi quel leader socialista di fronte a Trump e Musk che trattano gli (ex?) alleati europei come vassalli. Che aprono a Putin giustificandone le azioni, che divulgano video generati con l’IA di Gaza trasformata in una Costa Azzurra mediorientale, piena di resort di lusso e di dollari, liberata dai palestinesi deportati in massa in Egitto. Eh sì, cosa farebbe Craxi? Cercherebbe di placare l’ira di Trump – di assecondarlo – o porterebbe l’Italia ad accelerare nel processo di costruzione di un’Europa unita davvero, economicamente e militarmente, per fronteggiare la minaccia di Putin resa più reale dall’annunciato disimpegno americano dalla Nato?
IL FANTASMA INTRAPPOLATO TRA POLITICA E MAGISTRATURA

Domande che potrebbero avere un senso se l’eredità politica di Craxi e della Prima Repubblica fossero in qualche modo considerate patrimonio di questo paese, in grado di orientare e offrire punti di riferimento a chi attualmente governa l’Italia. Invece – a mio avviso – la figura di Craxi è ancora troppo condizionata dal dibattito sul rapporto tra politica e magistratura, dal peso di quegli anni, dal crollo inaspettato della Prima Repubblica, dalle responsabilità penali e morali mai chiarite del tutto.
UNA ZAVORRA CHE TIENE LONTANI I GIOVANI
Una zavorra che impedisce di far uscire ciò che a un pubblico di oggi, giovane e magari poco avvezzo alla storia, potrebbe interessare: il senso di un’Italia che è stata in grado di avere un ruolo e un peso nella politica internazionale, di esercitare un’autonomia anche contro potentissimi alleati. Un’Italia che è stata in grado di farlo e che potrebbe esserlo ancora, se chi la governa non soffrisse la sindrome di Calimero e avesse le idee un po’ meno confuse.
CRAXI E IL SENSO DI COLPA COLLETTIVO
Probabilmente la mancata uscita dal senso di colpa collettivo e la possibilità di guardare a Craxi come un grande protagonista della storia italiana, con le sue luci e le sue ombre (pensiamo a grandi statisti come Mitterand o Khol) è determinata anche dalla battaglia che i figli, soprattutto Stefania, continuano ancora oggi a tenere in piedi con rabbia contro quella che loro hanno vissuto come una gravissima ingiustizia. Il dato di fatto è che – anche per questo – il fantasma di Hammamet è ancora bloccato sul piano della ricerca di una verità storica su quegli anni, sullo scontro politica-magistratura che si muove il giudizio, tant’è che Caracciolo ha definito il libro importante per la ragione “esattamente opposta a quella che è stata evocata: cioè lo trovo un libro profondamente inattuale, nel senso che quel mondo e quel Craxi che Franco descrive appartengono a qualcosa che non esiste più”.
RISPOSTE CONTROVERSE E QUESITI MAI RISOLTI
Un mondo che non esiste più, con domande alle quali vengono date risposte importanti ma spesso controverse: e chi, come me, ha un interesse storico o culturale per ascoltarle le accoglie sulla base del proprio vissuto o dei propri pregiudizi. Martire per alcuni, latitante per altri: ma anche capro espiatorio della stagione di Tangentopoli, vittima sacrificale del giustizialismo oppure personaggio spregiudicato che ha preferito difendersi dai processi piuttosto che nei processi, come ha fatto ad esempio Andreotti.
Statista per tanti, corsaro delle istituzioni per altri, uomo che ha tolto i socialisti dalla tenaglia Dc-Pci portandoli a una posizione centrale nella politica italiana, oppure opportunista che ha soffocato la sinistra italiana impedendo una riunificazione delle due anime (socialista e comunista) nell’alveo socialdemocratico.
CRAXI E L’INVITO “ANDATE AL MARE”, INIZIO DI UNA PARABOLA POLITICA
Craxi era tante cose, la sua morte ad Hammamet da esule o da latitante, secondo il giudizio storico che ciascuno ne dà, ha lasciato profondi sensi di colpa, perché la sensazione che lui abbia pagato troppo e abbia pagato per tutti, fatica a lasciare chi ha vissuto Tangentopoli da spettatore o da protagonista. Sensi di colpa non mitigati neanche da un dubbio, palesato da Casini: ma lo hanno fatto diventare bersaglio o si è reso lui stesso bersaglio? Chi c’era non può dimenticare l’invito agli italiani “andate al mare” con il quale Craxi chiedeva in modo palese di disertare le urne in occasione del referendum sulla riduzione delle preferenze per l’elezione alla Camera dei deputati, il 9 giugno 1991.
CRAXI, TRA ESILIO E LATITANZA

Una gaffe considerata l’inizio della parabola discendente del leader socialista – che in quel momento era al vertice dell’Italia con i democristiani Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani – e che fu sommerso dai sì al referendum da parte degli italiani. Se non avesse invitato gli italiani ad andare al mare, sarebbe diventato un capro espiatorio? Dubbio che tormenta ancora un pezzo della coscienza italiana, a venticinque anni dalla morte di Craxi “in quella che per i magistrati e una gran parte del Paese era la sua latitanza tunisina, e per i familiari e i socialisti il suo esilio”.
CRAXI ESULE-LATITANTE O STATISTA?
Tornando alla domanda iniziale, ha senso oggi parlare di Bettino Craxi relegando l’agonia di un uomo e di un sistema dei partiti soltanto nel perimetro di uno scontro cruento tra magistratura e politica? Craxi è l’esule-latitante di Hammamet o è anche lo statista che ha lasciato alcune coordinate che possono aiutare l’Italia a ritrovare la strada in un contesto internazionale buio? Quale interesse può avere per i giovani o comunque per chi non ha vissuto la caduta del muro di Berlino, la fine della Guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi, gli anni Novanta, Tangentopoli, i governi tecnici, gli omicidi eclatanti di mafia e tutto ciò che evoca ricordi e inquietudini per chi quegli anni li ha vissuti?
perché un giovane dovrebbe essere interessato a Craxi?
Perché un giovane dovrebbe essere interessato alla storia di Bettino Craxi, alla Prima Repubblica, a Tangentopoli o altro in un mondo in cui la storia, i valori, i capisaldi del nostro vivere vengono tagliati con la motosega di Trump, Musk o Milei con il consenso di una parte importante dell’opinione pubblica?
LA POLITICA ESTERA ITALIANA UNA VOLTA C’ERA
Ho cercato risposte alle mie ansie di oggi, continuo a ricevere risposte ai miei quesiti di oltre trent’anni fa. Forse, non solo per me, ma soprattutto per chi gli anni Novanta non li ha visti, sarebbe opportuno togliere i riflettori da Hammamet e riportarli in Italia, per ricordarci che una politica estera una volta ce l’avevamo.