I giovani: una priorità strategica del Pnrr

L’Italiaconsiderando l’indice globale dello sviluppo giovanile – Global Youth Development Index – si trova al 23° posto nella classifica mondiale, al 16° posto tra i Paesi dell’Europa, con una performance più critica nei campi dell’istruzione (36° posto) e dell’occupazione (46° posto). Qualche giorno fa il governo ha diffuso il documento relativo all’effetto che il Pnrr potrebbe avere sui più giovani: il miglioramento della condizioni di ragazze e ragazzi è una delle priorità del Piano di ripresa ed è essenziale per la ripartenza dell’Italia intera In realtà è difficile analizzare concretamente gli effetti del Pnrr sulla categoria under 29, anche perché non c’è una misura appositamente dedicata ma solo interventi trasversali. Il documento del governo indaga le condizioni dei giovani italiani e i dati dimostrano uno scenario preoccupante, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.

SCARSI RISULTATI A SCUOLA E ABBANDONO SCOLASTICO: AL SUD LE CIFRE PIÙ ALTE

Nell’anno 2018/2019 si sono registrati dati deludenti rispetto alle competenze in italiano e matematica nella scuole di secondo grado. Nemmeno a dirlo, al Sud le cifre spaventano: se il dato nazionale delle competenze alfabetiche è del 30,4%, al Sud arriva al 41,9%. Per le prove numeriche la distanza dal dato nazionale è ancora maggiore: 37,8% contro il 53,5% nel Mezzogiorno. Maglia nera la punta dello stivale: in Calabria il 47% dei ragazzi registra insufficienti competenze alfabetiche, il 57% non è bravo con i numeri. Altra piaga l’abbandono scolastico: in Italia, riguarda il 13,1% dei giovani tra i 18 e i 24 anni nel 2020 con picchi nel Mezzogiorno, in particolare in Sicilia e Campania dove il fenomeno riguarda, rispettivamente, il 19,4% ed il 17,3% dei giovani.

50,3% DIPLOMATI ITALIANI SI IMMATRICOLA ALL’UNIVERSITÀ: SUD E ISOLE ABBASSANO LA MEDIA

Salendo per gradi di istruzione, lo scenario cambia leggermente. Nel 2017 il 50,3% dei diplomati italiani si è immatricolato all’Università. Nel Nord e nel Centro il dato supera il 51%: ad abbassare la media nazionale i residenti del Sud (47,3%) delle Isole (44,7,%). L’unico dato in controtendenza, ma che non contribuisce a migliorare il quadro, è il dato dei laureati. Nel 2017 la quota dei 25enni con un titolo universitario è del 33,8%. Centro e Sud, sorprendentemente hanno dati superiori al 35%, al Nord il dato è inferiore alla media italiana.

Purtroppo però sul mercato del lavoro i meridionali fanno più fatica e rispetto ai ritorni occupazionali dell’istruzione universitaria, emerge con forza il contrasto Nord-Sud. Il tasso di occupazione dei laureati nel Mezzogiorno è pari al 68,9% contro l’82,4% al Nord, per i giovani il divario è maggiore e pari a 28 punti: 29,3% al Sud contro il 57,3% nel settentrione.

TROPPI NEET E NON OCCUPATI, CON PICCHI NEL MEZZOGIORNO

L’Italia è uno dei paesi europei con il maggior numero di Neet, ragazzi che non lavorano o studiano: nel 2020 il dato era del 23,3% contro la il 13,7% della Media Ue. Nella penisola è altissima la disparità regionale e viene confermato lo storico divario Nord-Sud. Nel Mezzogiorno la percentuale di Neet è del 33%, al Nord è la meta (17%). Basta considerare che in Trentino il dato è del 16%, in Sicilia raggiunge picchi del 45%. Preoccupante anche il tasso di occupazione: registriamo un 29,8% per la categoria 15-29, quando la media europea è del 46,1%. Anche qui notevoli differenze sulla cartina: nella parte alta dello stivale il dato è del 37,8%, al Centro scende al 30,6%, nel Mezzogiorno arriva addirittura al 20,1%. In questo caso il divario territoriale si mescola al gender gap: i ragazzi residenti al Nord risultano i più occupati con il 42,2% le ragazze residenti nel Mezzogiorno non superano il 14,7%, valore in diminuzione rispetto al 2019 in cui era pari al 16,8%. Il documento del Governo emerge anche il continuo aumentare dell’incidenza dei lavoratori dipendenti con bassa paga, soprattutto tra i giovani.

IN ITALIA I GIOVANI FATICANO AD USCIRE DAL NIDO, MA NON È SOLO COLPA LORO

Pochi laureati, tanti disoccupati e stipendi bassi: questi dati ci permettono di capire perché i ragazzi italiani under 29 impieghino più tempo dei loro coetanei europei ad emanciparsi e abbandonare la casa dei genitori. La percentuale di giovani tra i 16 e i 29 anni che vivono ancora nella casa d’origine è cresciuta dall’82,6 % del 2014 all’85,4% del 2019 e supera la media Ue, che, nello stesso periodo, è aumentata dal 66,1 al 67,1%.

Il fenomeno “bamboccioni”, termine estremamente dispregiativo diffuso da qualche giornale anni fa, non è solo colpa dei ragazzi. A casa con i genitori forse si sta meglio, ma ci sono fattori esterni e inefficienze strutturali del mercato del lavoro che fanno emergere la difficoltà dei giovani italiani ad ottenere una disponibilità economica tale da rendersi autonomi. Nel nostro paese sono meno diffusi i finanziamenti agli studi, borse di studi e prestiti, rispetto agli altri paesi europei. In Italia, solo il 14% degli studenti del I e II ciclo di istruzione dell’anno scolastico 2018/2019 ha beneficiato di queste agevolazioni, quando il dato supera il 30% in paesi come Francia e Spagna.

“UNA REPUBBLICA FONDATA SULLO STAGE”

In tema di politiche attive del lavoro, i giovani italiani rischiano di soffrire di un limite del sistema, tra cui un coinvolgimento troppo esiguo. Il programma Garanzia Giovani, nato per contrastare fronteggiare le difficoltà di inserimento lavorativo e la disoccupazione giovanile, si rivolge specificatamente ai NEET. Dal suo avvio a maggio 2014 fino a ottobre 2021, si sarebbero iscritti solo 1,7 milioni di giovani. E se i tirocini post universitari sono un irrisorio rimborso spese, quando sono pagati, e se spesso è difficile uscire dalla trappola del tirocinio, non è solo responsabilità dei più giovani. L’Italia è una Repubblica fondata sullo stage è un mantra che oramai popola da qualche anno bacheche social. Nemmeno un mese fa il Parlamento Ue ha bocciato l’emendamento del gruppo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, per la messa al bando dei tirocini senza rimborso.

NEL PNRR NON C’È UNA MISURA SPECIFICA PER I GIOVANI MA INTERVENTI TRASVERSALI

Sebbene sia difficile analizzare realisticamente gli effetti del Pnrr sui giovani, anche perché non c’è una sola misura appositamente dedicata ai ragazzi, secondo Openpolis sono 18 le misure – su 226 totali – che potrebbero avere un impatto positivo sul tasso di occupazione della fascia 15.29 anni e sono sette gli indicatori, rappresentativi delle condizioni educative, sociali ed economiche dei giovani. Tali indicatori sono il tasso di occupazione, la percentuale dei Neet, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, la presenza di elementi di degrado nella zona in cui si vive, la quantità di giovani che partecipano alla vita sociale del territorio, la competenza numerica non adeguata e la percentuale di chi vive ancora con i genitori.

Sono 21,9 miliardi di euro le risorse per gli interventi con un effetto diretto sui giovani. Di questi 9,4 miliardi le risorse con un’incidenza sulla riduzione dei Neet. Tra queste misure, gli interventi socio-educativi contro la povertà educativa nel Mezzogiorno a sostegno del Terzo Settore, il potenziamento dei Centri per l’Impiego, la riforma Politiche attive del lavoro e formazione, le borse di studio per l’accesso all’Università. Per un monitoraggio efficace occorrerà valutare le variazioni di anno in anno di tutti e 7 gli indicatori sui giovani.

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