Sud, SOS istruzione: da asili ad università, permane il gap con il Nord

Italia divisa in due anche sul fronte istruzione. Se la spesa nel settore ha subito notevoli tagli negli ultimi anni sull’intero territorio nazionale, sono le regioni del Mezzogiorno ad aver registrato le flessioni maggiori e a renderci più lontani dai target europei. Carenze ed emergenze strutturali, disservizi, minori competenze degli alunni delle scuole del Sud, fuga di talenti verso il Nord dopo il liceo. Un circolo vizioso che affonda le radici nella prima infanzia, con ripercussioni negli anni scolastici successivi, oltre che sul tessuto sociale ed economico. Come si legge dal rapporto Svimez 2021, la spesa in istruzione in Italia è diminuita del 15% in circa 10 anni, passando dai 60 miliardi del biennio 2007-2008 ai 50 degli ultimi due anni. La flessione nella spesa è stata molto più marcata nel Sud, con un calo del 19%. Al centro Nord la riduzione è
del -13%. Purtroppo, il dato non sorprende. Questione meridionale anche sul versante istruzione quindi, dagli asili nido all’università. Le regioni del Mezzogiorno d’Italia sono meno in grado di assicurare agli alunni uguali opportunità educative.

allarme asili nido: al Sud 13,5 posti ogni 100 bambini, il Nord raggiunge target UE

Classifica delle regioni per posti asili nido nel 2018

Andiamo con ordine. Il rapporto nazionale sugli asili nido promosso dall’impresa sociale Con i Bambini e Openpolis rivela profonde distanze tra le regioni nella diffusione sul territorio di asili e servizi prima infanzia.  Il centro-nord ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo del 33% di copertura attraverso asili nido pubblici e in media 2/3 dei comuni offrono il servizio. Al Sud sono solo 13,5 i posti ogni 100 bambini, e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni. La differenza è di 18,5 punti. Nella top five tutte regioni del Centro Nord. Nel Mezzogiorno, esclusa la Sardegna che supera la media nazionale (29,3%), Puglia e Basilicata si attestano sotto il 17%. Ad occupare le ultime 5 posizioni, le regioni del Mezzogiorno, ultima la Campania. Il divario non riguarda solo i servizi per l’infanzia. In Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio: la provincia di Milano è in testa, con una copertura del 95,8% delle classi, quella di Ragusa fanalino di coda, con solo il 4,5%. Per ogni bambino sotto i 3 anni, la spesa media pro capite dei Comuni è di 906 euro, con notevoli disparità tra le città: a Trento a 2.481 euro, in Calabria scende a 149 euro.

La strategia europea di Lisbona del 2000 fissava all’85% il target per il 2010 dei giovani tra i 20 e i 24 anni con almeno un diploma di scuola secondaria superiore. Il suo possesso è il principale indicatore di livello di istruzione di un paese ed è considerato il livello di formazione indispensabile per immettersi sul mercato di lavoro con potenziale di crescita. Non sorprende che siano le regioni del Centro Nord averlo raggiunto (84,9%), mentre quelle del Mezzogiorno siano ancora molto distanti, anche se il trend di crescita è positivo (80,2% nel 2020, era 77,7% nel 2019).
Un altro fenomeno preoccupante è l’abbandono scolastico, molto più diffuso nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2020 gli early leavers erano il 6,3% rispetto all’11,2% delle regioni del Centro Nord. Il triste primato lo hanno Campania, Calabria e Sicilia.

più della metà delle scuole al Sud richiede interventi urgenti

Il divario tra le scuole del Mezzogiorno e del resto del paese riguarda anche le emergenze strutturali. Nel Meridione il 56% di edifici scolastici richiede interventi urgenti, al Nord il dato è del 36%. A fotografare la situazione il XXI rapporto di Legambiente “Ecosistema Scuola” con dati aggiornati al 2020. A preoccupare è soprattutto la mancanza dei principali servizi: classi a tempo pieno (43% nelle scuole del Centro-Nord contro il 16% del Sud-Isole), servizio mensa (65,5% contro 47,9%) e trasporto scuolabus (nel 29% degli istituti rispetto al 13,6% del Sud-Isole).

i danni della DAD, soprattutto nel Mezzogiorno

Anche i test INVALSI certificano risultati più bassi per gli alunni del Sud. A partire dalle elementari, l’istruzione nel Mezzogiorno risulta meno equa e più disomogenea, con risultati molto differenti in classi diverse nelle stesse scuole. Ad aver peggiorato il quadro, gli ultimi due anni di DAD. Gli ultimi test INVALSI dimostrano evidenti cali di apprendimenti e notevoli differenze tra le regioni, con il 10% di prove insufficienti. A resistere alla prova delle lezioni a distanza solo gli allievi delle elementari, che hanno registrato risultati pressoché analoghi nel 2019 e nel 2021. Tra i banchi delle medie, a livello nazionale nel 2020 è cresciuto il numero degli studenti con risultati non in linea con le indicazioni nazionali: sono il 39% in italiano e il 45% in matematica. In entrambe le discipline, si tratta di 5 punti percentuali in più rispetto al dato nel 2018 e nel 2019.
Il 40% dei quattordicenni hanno varcato le porte del liceo con competenze de quina elementari. Al Sud il dato raggiunge il 60%. Peggiore il quadro per i diplomati: quasi il 50% ha avuto risultati da terza media. Il crollo di apprendimento è stato più marcato nelle regioni dove le scuole sono state chiuse più a lungoPuglia e Campania in testa. Nel complesso, le prove INVALSI 2021 hanno rilevato che gli alunni con i punteggi più bassi provengono da socio economici sfavorevoli. Vedendo il dato per ogni regione, Calabria, Campania, Sicilia e Sardegna sono sotto la media nazionale.

dispersione implicita: dati a due cifre in tutto il Meridione

Ciò che preoccupa è il fenomeno della dispersione implicita, che riguarda gli allievi che non lasciano la scuola ma ne escono senza le competenze fondamentali, con rischi di scarsa partecipazione nella società e nel mercato del lavoro. Nel 2020 il dato era del 9,5% a livello nazionale (+ 2,5% rispetto al 2019). I dati a due cifre in Calabria (22,4%), in Campania (20,1%,), in Sicilia (16,5%), in Puglia (16,2%), in Sardegna (15,2%), in Basilicata (10,8%) e in Abruzzo (10,2%).

fuga di talenti: in vent’anni il Sud ha perso 1,6 milioni di giovani

In Sicilia, Puglia, Calabria e Campania i giovani 30-34enni laureati, nel 2020, erano intorno al 20%, percentuale che arriva al 33% in alcune regioni del Centro Nord (Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Umbria). Dal 2013 al 2020, il trend di crescita dei laureati è stato molto più pronunciato al Centro nord (dal 25 al 31,5% di giovani con titolo terziario) rispetto alle regioni del Sud, dove l’incremento è stato limitato, in media dal 19 al 22%. Oltre 1,6 milioni di giovani del Sud dal 1995 sono emigrati, al Nord e all’estero, in cerca di migliori opportunità di studio. Il tutto con conseguenze negative su Pil ed economia, con eccellenze che fuggono per stabilirsi altrove. Tra il 1995 e il 2020, infatti, il peso percentuale della ricchezza prodotta dal Meridione sul totale dell’Italia si è ridotto, passando da poco più del 24% al 22%. In parallelo il Pil pro capite è sempre rimasto intorno alla metà di quello del Nord e nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro contro 34.300 euro nel Nord-Ovest e 32.900 euro nel Nord-Est.

un confronto internazionale

L’Italia è agli ultimi posti sia come spesa per studente che come spesa in istruzione in rapporto al Pil ed il divario con i principali paesi cresce passando dalla scuola primaria all’istruzione terziaria. Dai dati OCSE emerge che nel 2018, è stato investito in istruzione solo lo 0,9% del Pil – la media UE è dell’1,42, con una flessione delle risorse pubbliche e un maggiore sforzo da parte delle famiglie. Il nostro paese risulta agli ultimi posti per popolazione istruita. Tra i giovani adulti (25-34enni) solo il 28,9% possiede una laurea. Il dato europeo supera il 40%. Un ulteriore problema riguarda il fatto che gli studenti italiani in media frequentano meno corsi di laurea breve e professionalizzante, molto più diffusi negli altri paesi europei, che garantiscono un immediato accesso sul mercato del lavoro.

le ripercussioni sul tessuto economico e sociale

Le radici del fenomeno della povertà educativa tra bambini affondano già nella prima infanzia. È oramai dimostrato come avere asili nido di qualità sia indispensabile per ridurre le disuguaglianze di ingresso nel sistema scolastico. Ma chi subisce le principali conseguenze della carenza di posti negli asilo nido e della disfunzionalità dei principali servizi? Le donne, che spesso devono rinunciare al lavoro e a prospettiva di carriera per potersi prendere cura dei figli. Secondo un’analisi di Open Polis, le regioni con la maggior offerta di posti negli asilo nido presentano indici di occupazione femminile più alti. È il caso di Valle d’Aosta, Emila Romagna e Toscana. Al contrario, le grandi regioni del sud registrano situazioni preoccupanti riguardo entrambe le variabili. In particolare Calabria, Sicilia e Campania hanno una copertura di asili nido che non supera il 10% e un tasso di occupazione femminile inferiore al 30%, fatta eccezione per la Campania (31,6%). Per approfondire le ripercussioni della mancanza di asili nido sul mercato del lavoro femminile, ecco l’articolo “Donne e lavoro: Sud eterna Cenerentola d’Italia e d’Europa” sulla nostra rivista.

PNRR e legge di bilancio: l’ultimo treno per risanare il gap?

Un Tweet del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi

Tra i fondi del Pnrr e la Legge di Bilancio per il 2022, istruzione e ricerca riceveranno ingenti fondi.
Sono 30,88 milioni le risorse del Pnrr per la mission 4. Di questi, oltre 17 miliardi sono destinati a potenziare i servizi di di istruzione da asili nido ad università. Con il piano per asili nido e scuole e strutture per l’infanzia, si persegue l’obiettivo di renderli omogenei sul territorio nazionale attraverso la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza di asili e scuole per l’infanzia e l’estensione del servizio del tempo pieno. Due i fini di tale operazione: potenziare l’offerta educativa e incoraggiare la partecipazione delle donne sul mercato di lavoro, per conciliare vita privata e professionale. Proseguendo con il percorso scolastico, tra gli altri obiettivi della mission 4 compare la riduzione delle competenze di base degli alunni inferiori alla media OCSE “in particolare nel Mezzogiorno” e la riforma e il consolidamento potenziamento degli istituti tecnici e professionali. La riforma degli ITS mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese, così da rendere più immediato il raccordo tra sistema scolastico e mondo del lavoro.

La Legge di bilancio si connette direttamente al PNRR: è previsto uno stanziamento a regime per le spese di funzionamento delle scuole dell’infanzia e dei nidi che saranno attivati con i fondi del Piano concordato con l’Europa. Il Fondo per l’edilizia scolastica è rifinanziato per un importo di 2 miliardi di euro nel periodo 2024-2036. 300 milioni vanno alla la valorizzazione del lavoro dei docenti, e oltre 400 milioni sono stati stanziati per consentire alle scuole di poter continuare ad utilizzare il personale aggiuntivo assunto, a settembre, per l’emergenza sanitaria.
Oltre 40 milioni sono stati stanziati a supporto delle scuole per il dimensionamento scolastico, per garantire al meglio la gestione delle scuole in periodo di emergenza. Attenzione viene posta anche al tema dell’abbassamento del numero di alunni nelle aule: gli attuali tetti nella composizione di ciascuna classe potranno essere derogati per ridurre l’affollamento, soprattutto negli istituti che si trovano in aree di maggior disagio e dove gli indici di dispersione scolastica sono più elevati. 

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