Archeologia: il saccheggio nel Mezzogiorno un duplice delitto

“Se tu, Totila, distruggerai questi monumenti sarai un dannato della storia.
Farai torto agli uomini del passato, che ci hanno lasciato questa ricchezza,
e a quelli del futuro che non potranno goderla” (Belisario)

Ben 501.574 opere d’arte recuperate in un solo anno in Italia, per un valore complessivo stimato in oltre 33 milioni di euro. Di questi, 483.978 sono beni antiquariali, archivistici e librari; 17.596 reperti (di cui 93 paleontologici, 5.310 archeologici integri, 4.532 frammenti e 7.661 di numismatica archeologica) provenienti da scavi clandestini; 1.547 beni culturali contraffatti (1.355 del settore contemporaneo, 168 appartenenti all’ambito antiquariale, archivistico e librario, 24 relativi al settore archeologico-paleontologico) per un valore, qualora immessi sul mercato quali autentici, stimato in quasi 416 milioni di euro. Sono i numeri, impressionanti, che emergono dal rapporto sulla Attività operativa 2020 del Reparto Tutela Patrimonio Culturale (TPC) dei Carabinieri, l’unità specializzata dell’Arma guidata dal generale di brigata Roberto Riccardi e nata nel 1969, rispondendo al dettato costituzionale dell’articolo 9: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Dalla sua istituzione questo nucleo speciale ha restituito più di tre milioni di beni culturali allo Stato e ai legittimi proprietari (in Italia e all’estero)  tra cui, l’anno scorso, alla Francia la porta del Bataclan con l’opera di Banksy rubata a Parigi nel gennaio 2019 e recuperata con la polizia francese e i carabinieri in Abruzzo, nonché l’orologio a pendolo del Quirinale voluto da Pio IX che, dal 1854 al 1961, aveva scandito dalla torre il passaggio del tempo e recapitato al presidente Sergio Mattarella alla vigilia dello scorso Natale. In ambito archeologico è il Sud ad essere particolarmente colpito dagli illeciti. Una maggiore incidenza dovuta alla presenza di estesi giacimenti e, dall’altra, alla pervasività della criminalità organizzata che mette le mani in questo bacino di bellezza per trasformarlo in fonte di cospicui proventi.

Questi dati tornano, adesso, alla ribalta, e si incrementano, con la grande operazione congiunta realizzata in queste ore tra Italia e Belgio e che ha appena riportato in Puglia 782 reperti archeologici provenienti da scavi clandestini, del valore stimato di 11 milioni di euro, sottratti a un collezionista belga denunciato per ricettazione e esportazione illecita. Ma l’attenzione sul traffico dei reperti e delle opere d’arte è al centro anche di una speciale mostra, appena inaugurata nel Museo nazionale archeologico della Magna Graecia di Reggio Calabria, alla quale non è voluto mancare proprio il Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale, il generale di brigata Roberto Riccardi, che ne ha “firmato” il pannello di apertura: “Questo comando esiste per riportare la luce dopo il buio, per restituire allo sguardo di tutti le meraviglie che la nostra civiltà ha prodotto nei secoli”. Il titolo dell’allestimento – che sarà visitabile fino al gennaio 2022 – è esaustivo: “Salvati dall’oblio. Tesori d’archeologia recuperati dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale”. Un allestimento scandito non dalla datazione dei reperti, bensì – e anche qui sta l’originalità – dalle date delle operazioni di polizia che hanno consentito di recuperare quelle opere d’arte, non di rado nelle mani delle mafie.


L’intervista

Traffici di reperti, Mezzogiorno, mafie e nuove normative “La Calabria per me un quarto di sangue, regione che ha dato il nome all’Italia”. È qui, al Museo di Reggio Calabria, che incontriamo il generale di brigata Roberto Riccardi, con il quale Sud e Futuri fa il punto su dati, risultati investigativi, prospettive normative intorno a un fenomeno criminale che – nel Sud – assume, come detto, contorni peculiari.

La mostra al Museo di Reggio – ha detto il generale – con le opere e i reperti recuperati mi dà una grande gioia. La Calabria per me è un quarto di sangue: è un nonno sepolto nel Vibonese. Sono cinque anni di lavoro in questa straordinaria regione ma soprattutto la Calabria è un grande patrimonio culturale di cui questa mostra è testimonianza. La Calabria è la regione che ha dato il nome all’Italia, alla nostra Penisola. La Calabria aveva città nell’VIII sec. A.C., ha fatto fiorire la scuola di Pitagora e ha avuto un continuum di arte fino ai giorni nostri con un grandissimo artista reggino, Umberto Boccioni, passando per Mattia Preti. Una ricchezza straordinaria che tocca tutti gli ambiti del sapere. Dalla musica alla letteratura alla pittura a ogni forma di creatività umana”.

L’inaugurazione della mostra di Reggio

Generale Riccardi, partiamo dai dati sui recuperi. Quale è il trend?

“Di recente abbiamo presentato il rapporto sui traffici d’arte nel 2020 e, al netto della pandemia che ha spostato sul web tutte le attività di commercio dei beni culturali, il trend è decrescente da diversi anni. Quindi lo abbiamo registrato anche nel 2020, una flessione del 17,6% complessiva dei reati nel 2020 ma abbiamo anche recuperato 501.000 beni culturali, quindi oltre mezzo milione di opere che sono ritornate alla fruizione pubblica alla nostra identità culturale e al nostro patrimonio che è vastissimo”.

Si può utilizzare, nel contesto del Mezzogiorno e dei crimini legati all’archeologia, la definizione di Archeomafie?

“Si tratta di traffici che hanno per lo più organizzazioni specializzate: le attività di scavo clandestino e di commercializzazione di reperti antichi è una attività specialistica per cui ci sono organizzazioni criminali dedicate, ma in regioni interessate dalla criminalità organizzata è inevitabile ci siano cointeressenze che si sono registrate nel tempo in realtà come Calabria, Sicilia, Campania, Puglia”.

Le normative in vigore per contrastare questi crimini sono adeguate o andrebbero aggiornate?

“Noi abbiamo un codice dei beni culturali completo e recente, il decreto legislativo 42/2004. Ci sono convenzioni internazionali che ci aiutano molto, proprio perché non è una lotta solo sul nostro territorio e c’è bisogno di collaborare con gli altri Paesi. I traffici d’arte non si fermano alle frontiere, tutt’altro”.

Cosa pensa del disegno di legge Franceschini-Orlando?

“C’è allo studio un disegno di Legge Franceschini-Orlando nel quale sono contemplate nuove figure di reato, tra cui una figura associativa che è particolarmente importante per noi e la possibilità di svolgere in modo strutturato attività sotto copertura. Il disegno di legge è attualmente al Senato e a breve avrò una audizione su questo”.

Parliamo di traffici internazionali: succede che alcune indagini si arenino quando devono penetrare in altri Paesi?

“Per svolgere attività investigativa in un altro Paese c’è bisogno della collaborazione giudiziaria e investigativa del Paese che ha la sovranità territoriale. Ci sono convenzioni internazionali che ci aiutano a procedere congiuntamente, soprattutto a livello europeo, come Europol e Eurojust, ad esempio, ma anche a livello mondiale, con l’Interpol e le rogatorie dei nostri magistrati che sostengono il nostro lavoro”.

Sono sufficienti?

“Complessivamente funzionano, altrimenti non saremmo arrivati a quei numeri se non ci fosse stata la collaborazione di tanti paesi. Proprio oggi, con la collaborazione delle autorità belghe e con il coordinamento di Eurojust e Europol, sono rientrati 782 reperti che appartengono alla civiltà Daunia, siamo nella provincia di Foggia. Così sta avvenendo sempre più frequentemente, perché sta crescendo, con la normativa, un circolo virtuoso e, inevitabilmente, anche una mentalità orientata alla tutela del patrimonio culturale che l’Unesco spinge parlando di World Heritage: oggi non c’è un patrimonio italiano, nazionale, calabrese ma c’è un patrimonio mondiale. C’è una lista di siti tutelati in cui esistono delle priorità e un fronte comune”.

Crimine e arte: quale è la peculiarità dell’attività investigativa del TPC?

“Le indagini dell’arte sono sempre affascinanti perché contengono una parte in comune con le altre attività investigative, le intercettazioni, i pedinamenti, ma poi c’è qualcosa di peculiare che si aggiunge: è la ricerca storica, legata a questo tipo di investigazioni”.


focus: il sacco del Mezzogiorno

Il saccheggio di reperti archeologici trova nel Sud Italia una delle sorgenti predilette per questi traffici, ramificati su scala mondiale. Lo conferma il rapporto 2020 del Nucleo TPC, pubblicato due mesi fa: “Nel traffico di reperti archeologici permane un importante ambito di investimento di capitali illeciti, per la caratteristica delle opere di mantenere inalterato il proprio valore e per la facilità di sottrazione e di occultamento. Tali fattori, accentuati da una legislazione non particolarmente severa, attirano le organizzazioni dinamiche, per ragioni di profitto, orientate a collocare i beni di maggiore valore sul mercato nero internazionale, lasciando a quello interno i beni numismatici e i reperti di minore rilevanza. Gli scavi clandestini rappresentano un fenomeno parzialmente stabile su numeri che possono ritenersi al minimo fisiologico e continuano a interessare maggiormente le regioni dell’Italia centro meridionale (un incremento del 20% rispetto al 2019)”.

Tra le operazioni eseguite in questo ambito merita menzione quella che, coordinata dalla Procura della Repubblica di Siracusa, ha interessato il Comune di Rosolini, dove i militari del comando TPC hanno rinvenuto, in un terreno adiacente alla strada provinciale per Modica, una imponente struttura mai censita dalla locale soprintendenza, ritenuta una fattoria nel III secolo a.C. Le indagini hanno permesso di individuare un soggetto, affittuario del lotto di terreno, che aveva avviato una privata “campagna di scavi” appropriandosi di oltre 2000 reperti archeologici, provocando l’irreversibile danneggiamento dell’antica struttura. Tutti i beni illecitamente sottratti sono stati recuperati e l’area interessata, di oltre 500 metri quadri, è stata sottoposta a sequestro, anche allo scopo di permettere agli archeologi di indagare approfonditamente il sito.

Un Sud che aspira allo sviluppo, anche attraverso i propri beni culturali subisce, da queste depredazioni, un duplice, inaccettabile attacco.

Il generale Riccardi lo ha ben ricordato a Reggio Calabria: “Il generale Belisario, nel 546, quando Totila prende Roma e minaccia di distruggerne i monumenti qualora fossero arrivate nuove truppe bizantine, gli scrive una lettera e gli dice quello che dice oggi l’Unesco del patrimonio culturale: “Se tu, Totila, distruggerai questi monumenti sarai un dannato della storia. Farai torto agli uomini del passato, che ci hanno lasciato questa ricchezza, e a quelli del futuro che non potranno goderla”.

“Quando ci privano dei nostri reperti, nei siti archeologici di cui il Sud è così ricco non è soltanto il danno di quello che ci hanno portato via, danno materiale e culturale, ma c’è anche la decontestualizzazione, qualcosa che gli archeologi conoscono bene. Privano, cioè, chi studia questi reperti, per capire il passato e per conoscerlo, della possibilità di farlo. Le ultime parole sono per i miei collaboratori: qui non ci sono i comandanti, qui ci sono i carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Sono loro i guardiani dell’arte in questa regione meravigliosa”.

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