Lavoro: le nuove professioni nel post Covid-19

Presentati i risultati della ricerca “Professioni 2030: il futuro delle Competenze in Italia”, condotta da Ernst & Young, network mondiale di servizi professionali, Manpower Group, multinazionale leader nella gestione delle risorse umane, e Pearson, leader nel settore dell’istruzione.

L’attività di ricerca avviata alla fine del 2019 mirava ad indagare le dinamiche occupazionali in Italia, per delineare le tendenze professionali nel decennio fino al 2030, anche alla luce degli effetti dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19. Lo studio aveva il triplice obiettivo di identificare le professioni e le competenze più richieste da un mercato del lavoro in evoluzione, di individuare gli strumenti di contrasto al fenomeno del disallineamento tra gli esiti dei percorsi formativi e i requisiti di occupabilità, e di fornire le linee guida per l’orientamento professionale e formativo per agevolare l’inserimento nel mercato del lavoro.

I principali risultati della ricerca riguardano l’individuazione delle macro-tendenze con un maggior impatto sul mercato del lavoro, l’identificazione delle professioni che emergeranno in Italia nella prossima decade e di quelle destinate a soccombere, la nascita di nuove competenze associate a tendenze occupazionali in crescita. La complessità dello scenario e la continua evoluzione del mercato del lavoro hanno fatto avvertire l’esigenza, da parte dei soggetti che hanno condotto l’indagine, dell’istituzione di un Osservatorio permanente, che opererà dei focus specifici su aree del paese, singoli settori o distretti economici.

La ricerca è stata condotta sulla base di una metodologia all’avanguardia ideata dall’Università di Oxford, in collaborazione con Pearson e Nesta – la fondazione di bandiera inglese leader nel settore dell’innovazione. La metodologia si basa sull’utilizzo di un algoritmo che unisce il giudizio qualitativo espresso da molteplici esperti in vari settori ai dati quantitativi provenienti da istituti di ricerca pubblici e privati.

il contesto di partenza: dal disallineamento delle competenze alla difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro

In Italia, prima dell’avvento del Covid- 19, particolarmente elevato era l’indicatore di mismatch OCSE, che rende conto della porzione di occupati troppo o troppo poco qualificati rispetto alle mansioni svolte: il dato è del 38,32% contro il 33,5 % della media UE. In particolare, nel nostro paese è del 18,2% la componente dei lavoratori sovra-qualificati: la media europea è del 14,7%. Elevato il tasso italiano di talent shortage, la carenza dei talenti: l’indicatore esprime l’incapacità dei datori di lavoro ad intercettare talenti qualificati. La percentuale di aziende in Italia che non riesce a trovare le competenze ricercate raggiunge l’84% nelle aziende con più di 250 dipendenti.

Con lo scoppio della pandemia, il problema maggiore del mercato del lavoro si è spostato dal disallineamento delle competenze alla disemployability, la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. La crisi pandemica ha acuito ulteriormente le disuguaglianze di genere, intergenerazionali e di alcune categorie contrattuali e professionali. Sulla base di un’analisi del Fondo Monetario Internazionale del 2020, le fasce più a rischio di disoccupazione e inattività sono infatti i giovani lavoratori, coloro che non possiedono una laurea, la forza lavoro femminile (maggiormente occupata nei settori più colpiti dalla crisi pandemica, come ristorazione e ospitalità), i lavoratori part-time e delle PMI, nonché quelli considerati di primo ingresso nelle professioni tecniche ed esecutive, nel lavoro d’ufficio e nelle attività commerciali e di servizio, le cui mansioni non sono facilmente eseguibili da remoto.

le tendenze professionali nel prossimo decennio

Il Covid-19 ha accelerato l’evoluzione di un mercato del lavoro già in trasformazione per effetto di alcune macro-tendenze. Tra queste le disuguaglianze sociali e di reddito tra il ceto medio-alto e quello in condizioni di disagio economico; l’urbanizzazione crescente, i cambiamenti climatici e la scarsità di risorse ambientali; il cambiamento delle professioni – a causa, soprattutto, della digitalizzazione – e dei tradizionali modelli di istruzione e apprendimento; il crescente peso economico dei Paesi dell’Est e del Sud del mondo; l’aumento demografico, a cui si collega un consumismo crescente; le sfide di carattere sanitario, l’aumento dei flussi migratori e l’innovazione tecnologica.

Nello specifico, lo studio ha isolato gli effetti della crisi pandemica sul mercato del lavoro.
Il Covid-19 ha impresso una forte accelerazione ad alcuni settori: +3% per le industrie chimiche, farmaceutiche e petrolifere, +2,8% per i servizi informatici e delle telecomunicazioni, settori cardine nella nuova era dello smart working e della formazione a distanza. Percentuali positive anche per l’istruzione e i servizi formativi (+1,7%) e per il commercio all’ingrosso (1,2%), a seguito di una forte riduzione del commercio al dettaglio.

Sulla base del variare delle macro tendenze già in atto e della spinta ulteriore azionata dal Covid-19, la ricerca prefigura tendenze occupazionali positive per alcune professioni. In crescita il settore della tecnologia e dell’informazione (analisti di software, applicazioni web e di basi dati, ingegneri e tecnici delle telecomunicazioni, specialisti in sicurezza informatica, elettrotecnici, amministratori di sistema), e quello dell’istruzione, della formazione e dell’inserimento lavorativo (professori di discipline umanistiche alle scuole medie, tecnici del reinserimento e dell’integrazione sociale, educatori professionali, specialisti nella formazione di soggetti disabili ed esperti nella progettazione curricolare).
Previsioni positive anche per le professioni sanitarie (logopedisti e terapisti occupazionali) e per il giornalismo.

Tuttavia, se il Covid-19 ha sortito effetti positivi per il trend di alcune professioni, si è registrata una battuta arresto per il settore primario, con un -2,8% per agricoltura, caccia e pesca e un -2% nell’estrazione di minerali. Segue il settore secondario, con un -2% per l’industria della carta, tessile e -1,5% per quella del legno. Male anche per i servizi di alloggio, turismo e ristorazione.

le professioni del futuro e le nuove competenze

La ricerca ha identificato le nuove professioni che sorgeranno entro il 2030, la cui nascita è favorita dalla transizione digitale. Secondo lo studio nascerà, ad esempio, lo Human Machine teaming manager, una nuova figura derivante dalla fusione tra lo psicologo del lavoro e dal progettista di software, con competenze sui temi dell’organizzazione del lavoro e una forte conoscenza dei sistemi informatici ed elettronici. Figura che risulta particolarmente importante in un contesto dove l’automazione e l’intelligenza artificiale sostituiscono sempre di più le risorse umane. Ancora, si prevede la figura del Progettista di visite turistiche ed eventi culturali virtuali, nato dalla fusione tra l’Agente di viaggio e l’organizzatore di eventi culturali. Le competenze intorno alle quali avviene il processo di fusione sono le conoscenze informatiche, di comunicazione e media e l’attitudine cognitiva di ideazione.

Lo studio ha indagato inoltre il ruolo delle competenze (fondamentali, aggiuntive ed ibride) che caratterizzeranno le tendenze occupazionali delle professioni fino al 2030.
Tra le competenze fondamentali – che dovrebbero essere incluse in qualsiasi programma formativo volto ad aumentare l’occupabilità – vi sono l’apprendimento e l’ascolto attivo, l’adattabilità e la comprensione degli altri, l’abilità nella risoluzione e gestione dei problemi. Le competenze aggiuntive, specifiche per ogni professione, agiscono in maniera aumentativa rispetto alle competenze fondamentali.
Le competenze per l’ibridazione, ossia l’insieme di conoscenze e abilità che si adegueranno alle nuove richieste del mondo del lavoro, sono, ad esempio, la capacità di gestione del tempo, di persuasione, le conoscenze informatiche, di comunicazione e dei media.

La vera sfida per chi eroga servizi di formazione e istruzione consiste nel progettare modalità di intervento innovative che consentano l’acquisizione e la certificazione di queste competenze, non facilmente misurabili e quindi difficilmente dimostrabili da parte dei lavoratori.

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