Massacro di Nizza: l’Occidente è a un bivio

Davanti all’islam integralista è necessario prendere atto del fallimento del dialogo. Ancora vivo l’orrore per la decapitazione di Samuel Paty, la Francia di Macron di nuovo attaccata dalla violenza


Il massacro di Nizza, ennesimo tributo di sangue che la Francia è stata costretta a pagare al fanatismo islamista, ha gettato nello sconforto in un Paese che cerca di resistere alla violenza di matrice musulmana. E, quando pensa di averla metabolizzata, si ritrova di nuovo a fare i conti con essa.

ancora vivo l’orrore per samuel paty

Il triplice omicidio di Nizza (due donne ed un uomo uccisi a coltellate) ne è la prova evidente. Ancora la Francia cercava di razionalizzare l’orrore per l’uccisione e la decapitazione del professor Samuel Paty, a Conflans-Sainte-Honorine. E oggi si è trovata davanti ad un ennesimo attentato, messo a segno nel nome di un dio che dovrebbe essere misericordioso. Ma che, agli occhi di fanatici, autorizza i più efferati degli atti.

Tre persone uccise (tra esse, una donna decapitata come Paty) da un fanatico, a sua volta abbattuto dalla Polizia di Nizza mentre ancora brandiva il coltellaccio usato. Non altrettanto è riuscito ad un altro uomo che, al grido di ”Allah u akbar”, ha cercato di emulare, a distanza di un paio d’ore, l’assassino di Nizza. Ma non c’è riuscito perché a ucciderlo è stata, anche in questo caso, la Polizia.

un rosario di attentati e di morti

Ce n’è d’avanzo per pensare che non sia una coincidenza. Anche perché, nella stessa mattinata, un altro attacco ad interessi francesi (il consolato di Jedda) è fallito. Un rosario di attentati e morti che sembra essere senza fine. E che evidentemente, nella mente di chi li progetta, trovando poi degli utili idioti per attuarli, deve servire da monito, e non solo ai francesi.

La scelta di uccidere in chiesa e a poca distanza dall’edificio sacro non è certo un caso. Qualche anno fa è accaduta la stessa cosa nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray. Dove, nel luglio del 2016, il parroco don Jacques Hamel fu sgozzato, mentre celebrava la Messa, da due giovanissimi musulmani.

si tratta “solo” di odio?

Se ci si fermasse alla sola lettura dei fatti accaduti nelle ultime ore e che hanno visto coinvolta la Francia, direttamente (gli attacchi di Nizza ed Avignone) ed anche nelle sue rappresentanze diplomatiche (il consolato di Jedda, in Arabia Saudita), gli eventi sembrerebbero trovare una comune matrice. Ossia l’odio scatenato contro Parigi, ritenuta bersaglio da colpire per la sua presa di posizione contro le frange più violente dell’islamismo. 

In fondo sarebbe la considerazione più semplice e scontata. Che d’un sol colpo definirebbe il profilo non dei manovali dell’integralismo, quanto quello dei mandanti. Ma è forse la spiegazione che non si attaglia completamente allo scenario che si sta delineando negli ultimi mesi. Scenario che vede ancora una – anzi per l’ennesima – volta, l’islam come arco di volta di una campagna anti-occidentale. Se per Occidente intendiamo l’ampio fronte di quei Paesi che hanno il coraggio di dire le cose come stanno e di non mascherarle dietro lo schermo di un’ipocrisia che nasconde enormi interessi economici.

o anche di emulazione?

L’attacco di Nizza – ormai una città martire dell’islam armato – ha definito un ennesimo aspetto dell’integralismo, quello dell’emulazione. Che è poi il pericolo maggiore che si nasconde nelle pieghe del fanatismo.
Se mi si consente un paradosso che però cela il massimo rispetto per il docente di Conflans-Sainte-Honorine, l’uccisione e la decapitazione di Samuel Paty può trovare una giustificazione nella campagna scatenata contro le vignette di Charlie Hebdo. Invece le tre vittime della basilica di Notre Dame dell’Assomption, a pochi metri da una delle vie più animate della città, segna un ulteriore incrudelimento della lotta armata islamica.

Al professore Paty è stato fatto pagare l’avere mostrato le vignette di Charlie Hebdo in classe, parlando di tolleranza e civile convivenza. Ma le tre vittime di Nizza che colpe avevano?

chiunque può essere ucciso

Agli inizi degli anni ’80, quando facevo (anche) il cronista di giudiziaria a Catanzaro, mi occupai di un gruppuscolo di estremisti di sinistra che si erano decisi a fare il grande passo e diventare (per fortuna non ci riuscirono) terroristi rossi.
Ebbi modo di leggere i loro documenti programmatici (un’accozzaglia di concetti in ordine sparso e senza un filo ideologico degno di nota). Sulla base di questa conoscenza, intervistai il ”capo” del gruppo – all’epoca era ancora possibile farlo – al quale chiesi come si sarebbero ”mossi” nella loro campagna di terrore. Mi confessò una cosa che, allora come oggi, mi fa rabbrividire. I loro bersagli sarebbero state persone qualunque, senza alcuna colpa specifica ai loro occhi se non quella di essere normali. Tutti avrebbero potuto essere uccisi, dal professionista, al rappresentante delle forze dell’ordine, ma anche il tassista, il netturbino, il portalettere.

È quello che il terrorismo islamico propugna da tempo. Che, per oggettive difficoltà, chi è preposto a contrastarne l’azione non può impedire. Perché è impossibile considerare tutti i cittadini, tutti gli edifici e le infrastrutture possibili bersagli e quindi proteggerli.

l’obiettivo: seminare terrore

Se è seminare il terrore quello che gli estremisti musulmani vogliono fare, bisogna ammettere, dolorosamente, che sono sulla buona strada per riuscirsi. Perché dalla gente che apprende come gli attentati vengono perpetrati è ben difficile rimuovere la paura di potere essere il prossimo bersaglio.
D’altra parte, ormai, la lotta che l’Islam ha scatenato si muove su piani  indipendenti – ma che possono dialogare tra di loro – che però ambiscono al medesimo obiettivo. Ossia rivendicare la possibilità di intervenire ovunque nel mondo la religione islamica si percepisca come ostacolata nelle sue strategie di proselitismo. Senza peraltro concedere lo stesso ad altre religioni cui non riconosce pari dignità.

erdogan, la faccia politica dell’islam aggressivo

La faccia politica dell’islam intransigente ed aggressivo, che si autoconferisce il diritto di intervenire ovunque si veda attaccato, è data dal presidente turco Erdogan. Che oggi fa la voce grossa con la Francia, avviando una campagna di boicottaggio dei prodotti francesi nei Paesi musulmani.

Ma Erdogan, come appare evidente, cerca nemici fuori dai confini per rinfocolare lo spirito nazionalista dei turchi, che si vuole distrarre dalla pesantissima crisi economica che sta affondando il Paese. L’aspetto più inquietante è che, in questa battaglia, il presidente turco non è solo. Si ritrova accanto anche chi (come il raiss egiziano al-Sisi ed il re giordano Abdallah) non aveva finora mostrato spirito battagliero anti-occidentale a sostegno dell’Islam. E soprattutto non gli è mai stato amico, temendone le ambizioni di fare diventare la Turchia una potenza non solo regionale. Non ci sono teoremi per capire cosa accadrà, ma forse ne esistono per comprendere cosa accade. 

l’occidente non è attrezzato per contrastare l’integralismo islamico

Quel che accade è che l’Occidente, per le strutture politiche e giudiziarie che si è date, continua a mostrarsi non attrezzato per contrastare la deriva integralista dell’islam.
Il ”quieto vivere” o il galateo diplomatico – ed è solo un esempio –  hanno infatti impedito, ieri, di fermare l’invasione di predicatori islamici. Che hanno scalzato quelli moderati alla guida delle più importanti moschee dell’Occidente,  facendosi portavoce di un islam radicale ed intollerante. Sermoni che infiammano i fedeli ed acuiscono la ritrosia degli immigrati musulmani, ma soprattutto dei loro figli, ad integrarsi nella società del Paese che li ospita. Una ferita che resta aperta, nonostante il fatto che alcuni Paesi occidentali abbiano creduto che bastasse dialogare con l’università cairota di Al-Azhar, culla della teologia sunnita, per ripristinare buoni rapporti con l’islam. E non considerando, come invece avrebbero dovuto fare, che esso non è materia statica, ma varia a seconda dell’humus sociale che lo alimenta. 

lo scontro laico tra macron e erdogan

Per questo appare oggi difficile evitare che si incancrenisca ulteriormente lo scontro tra il laico Macron e Erdogan. Il presidente turco accusa la Francia per avere offeso Maometto con le vignette. Eppure ha ritenuto assolutamente non censurabile da parte dell’Occidente la sua decisione di fare della basilica di Santa Sofia, a Istanbul, una moschea.

Uno scontro destinato a proseguire nel tempo, almeno sino a quando Macron non si convincerà che si è affievolito il pericolo di un ”separatismo” islamico che viene perseguito in Francia. Soprattutto nell’esplosiva miscela sociale che si è determinata nelle banlieus, dove si mischiano emarginazione, criminalità comune e intolleranza verso il diverso che, per paradossale che possa sembrare, diventa il francese bianco e non necessariamente cattolico, ma emblema di un sistema che viene aborrito.

Nell’effervescenza che regie eterodirette hanno creato in Francia si trova di tutto, perché negli ultimi anni è stato un fiorire di nascite di piccoli nuclei islamici in cui il carattere tollerante della religione ha virato verso l’eresia violenta, di marca salafita o takfirista, ormai molto presente anche in Nord Africa, ad un alito di vento dal nostro Continente. 

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