giovedì, 17 Aprile 2025

Difendere la libertà di religione o difendersi dall’attacco dell’Islam integralista?

Terrorismo, religione e laicità dello Stato: dallo shock per l’uccisione del professor Samuel Paty alla necessità di trovare freni per le frange violente


Chi ha avuto visitato la Francia, oggi come ieri, si è potuto rendere conto che il concetto di laicità dello Stato è una cosa molto seria. E che il ‘‘Libertè, egalitè, fraternitè” non è un onusto retaggio del passato, lasciato ad impolverarsi sugli scaffali della coscienza collettiva.

In Francia, quando si tratta di difendere le libertà fondamentali (che sono, soprattutto, quelle personali), non si hanno mezze misure, facendo discendere da esse l’intera essenza dello spirito della Republique.

Spirito che non sarà più quello dei rivoluzionari, ma certamente ha contribuito a costruire una democrazia che ha resistito complessivamente bene. Al di là di qualche preoccupante scricchiolio ai tempi della ribellione dell’Oas e della fortissima risposta di polizia del presidente De Gaulle. 

lo shock per l’uccisione di samuel paty

Provoca interesse quanto sta accadendo in questi giorni in Francia, dopo che l’uccisione del professore Samuel Paty ha letteralmente provocato uno shock nell’intero Paese.
Il professore è stato accoltellato e quindi decapitato da un giovanissimo immigrato d’origine cecena e religione musulmana, poi ”neutralizzato” in modo definitivo dalla polizia. 
Shock non solo per quanto è accaduto e per come esso sia stato utilizzato a fini di propaganda (l’assassino ha filmato, con il suo smartphone la testa, ormai staccata dal busto, della vittima, pubblicando il video sui social, appena pochi secondi dopo la mattanza), quanto perché ha riproposto, in modo drammatico, molti degli interrogativi alla risposta che spetta allo Stato per arginare il proselitismo sempre più aggressivo da parte di predicatori dell’islam più radicale, humus per il terrorismo più efferato. 

la risposta dello stato francese

Lo Stato francese, leccatesi le ferite (sono state quasi immediatamente arrestate una decina di persone, tutte gravitanti intorno ad un polo di predicazione radicale), ha deciso di alzare il livello di contrasto.

Ed ha messo nel mirino associazioni, circoli ed altri modelli di aggregazioni che, ufficialmente, promuovono la conoscenza dell’islam o la tutela dei musulmani oggetto di azioni violente per la loro religione, ma, al loro interno, sono dei ”terrorifici”. Dove entrano ragazzi immaturi ed in cerca di risposte ed escono uomini che ambiscono al martirio. 

Ed è qui che il percorso delle istituzioni diventa molto delicato. Perché logica vorrebbe che lo Stato spazzasse chi, per mestiere, predica odio. Ma deve tenere conto di una trama di leggi a tutela della persona e delle sue idee, comunque sempre difese. 

gli Usa e la libertà di espressione

In altri Paesi, anch’essi duramente colpiti dal terrorismo, la libertà di espressione è sacra. Negli Stati Uniti del dopo 11 settembre, nemmeno il Patriot act – nella vulgata generale, acronimo di Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act, Legge per Unire e rafforzare l’America fornendo strumenti adeguati necessari per intercettare e ostacolare il terrorismo.

Il Patrioct Act, pur dando alle forze di polizia strumenti amplissimi per il contrasto al terrorismo, ha mai nemmeno sfiorato il tema della libertà di espressione o religione. 
Non ha, infatti, mai osato di intaccare questa libertà, nel pieno rispetto del primo emendamento della Costituzione, laddove i padri fondatori scrissero:

“Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”

si può impedire di manifestare la fede religiosa?

Quindi, nel caso in cui le autorità americane ravvisino il pericolo, più o meno grave, che una predicazione religiosa metta a rischio l’integrità dello Stato o la salute dei suoi cittadini, può fare tutto (o quasi), meno che impedire di manifestare a parole la propria fede religiosa. 
Ma se si accerta che la predicazione è strumento di indottrinamento, di coartazione di menti deboli per fare abbracciare loro teorie intrise di violenza? Lo snodo di questo dilemma sta proprio qui. 

la chiusura in Francia del Collettivo contro l’islamofobia

La Francia cerca di risolverlo con la chiusura di quelle istituzioni religiose islamiche sospettate di predicare l’integralismo e, con esso, il ricorso alla forza.
Il primo ad essere colpito è il Collettivo contro l’islamofobia in Francia. Che per il ministro dell’Interno, Darmarin, è solo un paravento per il proselitismo wahabita, almeno in quella deriva che incarna la visione più estrema dell’islam. È stato proprio il Collettivo a fare da sponda alla campagna sui social scatenata contro Samuel Paty dal padre di una alunna del docente. La figlia gli ha riferito che il professore (47 anni e due figli), nel corso di una lezione su tolleranza e dialogo, aveva mostrato due vignette su Maometto del magazine Charlie Hebdo. Magazine che ha pagato questa decisione con l’uccisione di alcuni dei suoi giornalisti, nella strage provocata dall’assalto alla redazione.  

primo passo per la “purificazione” da predicatori scomodi?

La decisione di sciogliere il Collettivo potrebbe essere il primo passo di una campagna per purificare la Francia dalla presenza di predicatori. Predicatori che, con i loro sermoni, infiammano i fedeli musulmani, predisponendoli alla violenza contro lo Stato ed i suoi rappresentanti. 

I decreti di scioglimento daranno il via, sicuramente, a ricorsi ed impugnazioni. Che potrebbero essere accolti laddove i promotori – il Ministero dell’Interno e la sua avvocatura – non riusciranno a dimostrare la sussistenza di attività illegali. Al di sopra di ogni possibile dubbio. 
Ma parlare di un Dio violento e assetato di sangue (come alcuni predicatori sembrano interpretare quello descritto dai testi sacri dell’islam) è un reato, senza che si riesca a definire un nesso di causalità tra le parole e l’atto di un singolo o di un gruppo?

Occorre stare attenti: questa partita non è limitata alla sola Francia.
Perché la penetrazione delle frange integraliste nell’islam, soprattutto nei Paesi del cosiddetto Occidente, è molto più intensa delle difese che i musulmani moderati hanno saputo alzare intorno a loro. E se non ci riescono, spetta allo Stato sostituirsi alla loro incapacità di resistere al fascino della violenza, oggi verbale, domani chissà. 

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