Il presidente della Fondazione con il Sud chiede alla politica e al Sistema Paese una svolta nel post Covid: investimenti sul capitale umano, piena consapevolezza del ruolo del Terzo settore nello sviluppo, sburocratizzazione e interventi per sottrarre i giovani alle mafie
Il Terzo settore è quello dei “buoni”. Sotto questa categoria si raggruppano gli operatori, i volontari, le cooperative, gli enti no profit che si occupano di welfare, solidarietà, contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa, ambiente, sviluppo territoriale, inclusione e chi più ne ha più ne metta. Basta che profumi di bene comune (e beni comuni). Una rete che spesso si sostituisce alla Stato, garantendo coesione sociale in alcune realtà difficili.
La Fondazione con il Sud, attraverso bandi e iniziative, dà manforte a chi si occupa di solidarietà sostenendo interventi di natura sociale nelle aree meridionali e in particolare in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia. Il suo presidente, Carlo Borgomeo, in piena crisi Coronavirus è stato molto attivo nel rappresentare i problemi delle imprese sociali, delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, che rischiavano di essere dimenticate nei provvedimenti governativi. La richiesta di Borgomeo al ministro è stata precisa: un piano di interventi per il Terzo settore meridionale, mediante la concessione di contributi a fondo perduto «da erogare non in base ad una faticosa selezione di progetti, ma a tutte le organizzazioni che rispondano a requisiti minimi di continuità, di esperienza, di radicamento nei territori».
un primo passo nel decreto rilancio, ma servono più risorse
La risposta è arrivata nel Decreto Rilancio che – per rafforzare l’azione a tutela delle fasce deboli – prevede un rifinanziamento del fondo per le attività delle associazioni e la concessione di contributi per sostenere il Terzo settore nelle regioni meridionali. In particolare, lo stanziamento complessivo è di 100 milioni per il 2020 (di cui 20 milioni riservati al contrasto della povertà educativa) e di 20 milioni per il 2021.
Soddisfatto?
«Ho già dichiarato che la scelta del ministro per il Mezzogiorno Provenzano è importantissima: è la prima volta che un ministro che non si occupa di welfare, ma di sviluppo, decide di erogare delle risorse al Terzo settore. Quindi mi illudo – anzi è più esatto dire penso – che Provenzano ritenga il Terzo settore non solo come un insieme di realtà preposte a fare del bene, a fare delle cose utili, a esprimere solidarietà, a mettere le pezze sui ritardi del pubblico, ma come un soggetto di sviluppo. E un passaggio significativo. Detto questo, le risorse non sono ancora adeguate. Ce ne vorrebbero di più, perché le organizzazioni del Terzo settore meridionale, anche facendo una selezione, assorbirebbero somme molto superiori ai 120 milioni stanziati. Però la stessa norma prevede che le Regioni possano, con i loro fondi strutturali, aumentare il fondo per le associazioni. E poi il ministro ha dichiarato che questa misura diventerà una linea guida della prossima programmazione dei fondi strutturali. Quindi in parte sono soddisfatto, anche se è evidente che serve uno sforzo superiore».
l’invito alla coesione e la necessità di ascoltare i cittadini
Il Presidente Mattarella invita all’unità, alla coesione del Paese, in sostanza ciò per cui vi battete voi. Vista la situazione sociale e politica attuale, è possibile raggiungere questo obiettivo?
«La risposta sta nella testa della gente. Bisogna verificare se la paura, che è stata e per certi versi è ancora forte, riuscirà a tramutarsi in uno spirito costruttivo. Non è facile, però questa è l’unica strada possibile. Invece da un punto di vista strettamente politico penso che le forze di governo – e quindi il Pd, il Movimento 5 Stelle e le altre formazioni della maggioranza – dovrebbero esercitarsi di più nell’ascoltare la gente. Francamente non credo al “partito di lotta e di governo”. Ma ciò non significa che chi sta al governo debba smettere di ascoltare i problemi delle persone. Ritengo che un maggiore ascolto dei cittadini possa aiutare a trovare una via d’uscita efficace da questa crisi».
Avverte anche lei una sorta di “euforia” post lockdown che rimuove un po’ tutto, prudenza, precauzione, buon senso.
«È vero, si ha l’impressione di un’euforia che cancella la memoria di quello che è successo. Però ci andrei cauto. Abito a Roma, vado in giro per il quartiere e vedo tutti con la mascherina. Anche i comportamenti nei locali pubblici mi sembrano prudenti».
Un’Italia migliore di quella raccontata dai giornali.
«È così. Certo, poi si vedono i video delle manifestazioni, giornali e Tv vanno a caccia della notizia ad effetto e quindi ci inondano con immagini di gente ammassata in piazza e di ragazzi che affollano i locali per l’aperitivo. Penso, però, che la maggior parte dei cittadini sia più propensa a capire che non si scherza con il fuoco».
un grande investimento per il paese: il capitale umano
Nel corso del nostro evento di Mondello Sud e Futuri, a ottobre dello scorso anno, lei ha proposto un piano d’investimenti straordinario sul capitale umano, dal quale dipende il futuro del nostro paese. Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera ha rilanciato l’idea chiedendo sostegno alle grandi aziende italiane “illuminate” oltre che alla Fondazione con il Sud. Lo stesso ha fatto su questo magazine Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia. Può spiegare perché proprio ora, quando siamo tutti ripiegati sull’oggi e sull’emergenza Coronavirus, con tante piccole imprese che rischiano di fallire e milioni di persone che rischiano di restare senza lavoro, è invece necessario investire sul futuro?
«Intanto qualche osservazione. Viviamo in un Paese in cui la percentuale di investimenti sulla scuola è la più bassa d’Europa. Quindi cominciamo con le cose ovvie: bisogna riportare gli investimenti sulla scuola a livelli più alti, credo che l’Italia abbia una differenza di un punto percentuale di Pil rispetto agli altri Stati. La seconda osservazione ruota su un fatto obiettivo, che però non è ancora passato nell’opinione pubblica e nei ragionamenti delle forze politiche: spendere soldi per il capitale umano è, tecnicamente, un investimento. Siamo ancora legati alla concezione per cui l’investimento sul capitale umano è una cosa “giusta” sul terreno dell’uguaglianza, per offrire pari opportunità ai cittadini. Obiettivo sacrosanto, ma che nella percezione collettiva finisce con oscurare il dato di un vero e proprio “investimento” in termini tecnici, che rende il paese più forte e più competitivo.
Da questo punto di vista c’è una cartina tornasole che io giudico tragica. Nelle prime settimane del lockdown si è parlato di tutto: delle palestre, degli stabilimenti balneari, delle discoteche, delle imprese. Invece, a parte qualche eccezione, il problema della formazione dei minori con le scuole chiuse non ha mai conquistato la giusta attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche. Se n’è parlato dopo sei settimane, quando i genitori iniziavano a rientrare sul posto di lavoro e quindi si è posto il problema dei bambini che dovevano restare a casa da soli. Un problema trattato soltanto da questo punto di vista è il segnale preciso di quanto il tema della crescita e della valorizzazione del capitale umano sia sottovalutato.
Per cui è importante che un grande opinionista come de Bortoli metta il dito nella piaga e rilanci una questione che è sì centrata sulla necessità di investire sul capitale umano, ma, più in generale, apre un ragionamento sulla classe dirigente del Paese. Da parte mia c’è un pieno accordo. Aggiungo che se de Bortoli ha fatto un intervento così esplicito, appellandosi alle grandi aziende italiane, ha immaginato di raccogliere reazioni significative. Speriamo che le imprese che sosterranno la proposta non lo facciano in una logica filantropica – facciamo del bene, mettiamo un po’ di soldi sul fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, eccetera – ma con convinzione, comprendendo che il loro è un vero e proprio investimento».
come deve cambiare il terzo settore per essere “motore” dell’Italia
Si parla di Terzo settore come motore di un’Italia che punta a cambiare strada nel solco di elementi come l’economia circolare, l’ambiente e lo sviluppo dei territori. Come (e se) dovrà cambiare la galassia della solidarietà per essere all’altezza della sfida?
«Ci sono varie questioni da affrontare. La prima è che – ovviamente – l’opinione pubblica e le istituzioni comprendano il ruolo potenziale del Terzo settore. Poi c’è un versante in cui il Terzo settore stesso deve percepirsi con un soggetto di cambiamento e non solo come un operatore di buone e belle pratiche. Quindi deve fare molti sforzi al suo interno per migliorare la sua rappresentanza e per aumentare le proprie competenze. Abbiamo moltissime imprese e cooperative sociali con manager che devono migliorare e che devono sapersi confrontare meglio con il mercato. E che devono, soprattutto, comprendere fino in fondo che non si tradisce la propria missione e la propria spinta solidaristica facendo bene impresa. Le imprese sociali sono imprese a tutti gli effetti, con la differenza che gli utili devono reinvestirli nelle proprie attività: ma gli utili li devono realizzare, non è che possano vivere d’aria. Da una parte, quindi, c’è bisogno di un processo culturale e politico esterno per far capire che il terzo settore ha anche un ruolo propositivo di sviluppo più generale. Dall’altra c’è uno sforzo di crescita interno, che è in corso ma va ulteriormente accelerato».
A proposito di cambiamento: anche la Fondazione con il Sud deve trasformarsi nel mondo post Covid?
«La missione della Fondazione è da tempo quella scritta nello Statuto. Lavoriamo nella certezza e nella convinzione che la coesione sociale sia la premessa irrinunciabile dello sviluppo. Quindi già siamo su questa linea. Passando alle modalità di intervento, abbiamo deciso di non stravolgere i nostri programmi rispetto alla crisi, ma di fare degli adattamenti».
«La missione è giusta e ci crediamo profondamente, anche se poi naturalmente dobbiamo fare i conti con le nostre risorse, che sono limitate. La Fondazione con il Sud può erogare 20 milioni l’anno per una popolazione di riferimento di circa 21-22 milioni. In termini teorici possiamo erogare annualmente un euro per ogni cittadino meridionale mentre, per offrire un termine di paragone, ci sono regioni in cui le fondazioni di origine bancaria possono dare 300 euro a cittadino. Dobbiamo purtroppo tenere conto del fatto che abbiamo un ruolo di promozione e di pungolo, ma non la possibilità di forte intervento per risolvere tutti i problemi possibili. Comunque stiamo proseguendo con forza nella nostra attività. Adesso è in corso un bellissimo bando sul sociale e lo sport e stiamo assegnando un bando molto importante per il volontariato nelle zone interne».
per il Sud la strada del patrimonio culturale e ambientale
Prima del Coronavirus il “ritornello” sullo sviluppo del Mezzogiorno ruotava intorno al mancato sfruttamento dell’immenso patrimonio culturale e paesaggistico. Ma oggi, ritornello o no, quella dei tesori culturali e ambientali sembra essere l’unica strada percorribile.
«Devo innanzitutto ricordare che, come missione, non ci occupiamo direttamente dei beni culturali. Ce ne occupiamo solo quando la valorizzazione di un bene culturale ha attinenza con i processi di inclusione sociale. Finanziamo cooperative che hanno soggetti disabili al loro interno e che valorizzano un bene culturale. Finanziamo iniziative in quartieri difficili, perché questo può mettere in moto meccanismi di rafforzamento della comunità: questo vale sia per i beni culturali, sia per l’ambiente, sia per i beni confiscati. Il caso più clamoroso – e positivo – è quello delle catacombe di San Gennaro, che prima del lockdown sono arrivate a 160.000 visitatori, diventando il terzo il sito culturale a Napoli, consigliato dalle guide. Ma non l’abbiamo fatto perché erano belle le catacombe – ovviamente le catacombe sono bellissime – l’abbiamo fatto perché era la Sanità, uno dei quartieri più difficili della città. E questo ha funzionato: quindi vale per i beni confiscati, per i beni culturali e per quelli ambientali. A noi interessa un tipo di valorizzazione che metta al centro il valore del bene comune come strumento che rafforza l’identità comunitaria di un territorio».
sburocratizzazione e contrasto alle mafie: se non ora quando?
Il riferimento ai quartieri difficili introduce la questione del rischio – non solo meridionale – che le mafie possano mettere le mani sulle ingenti risorse destinate alla ricostruzione e approfittare della mancanza di liquidità per fagocitare le imprese. Ma c’è un altro pericolo, cioè che la ricostruzione sia resa inefficace da una burocrazia malata e che una semplificazione “all’italiana” possa aprire nuovi spazi alla criminalità. Come se ne esce?
«Delle due riflessioni a me convince più la seconda. Non temo che la mafia metta le mani sugli incentivi e sulle agevolazioni. Temo molto di più – anche perché le notizie arrivano – che la mafia approfitti dell’opportunità di andare incontro a persone che non hanno una lira, che non hanno un soldo, per fare proselitismo in una doppia direzione. La prima direzione, giusto per fare un esempio, prestando i soldi a un artigiano per poi prendergli l’attività. La seconda conquistando giovani e nuove truppe approfittando della situazione di crisi: e anche di questo abbiamo contezza. Stiamo tentando – a questo proposito – di rendere più semplice uno strumento che funziona come “Resto al Sud”, che finanzia abbastanza rapidamente piccole attività di autoimprenditorialità, ma che ha una soglia d’accesso un po’ difficile. Vale a dire che una persona incapace di “smanettare” con il computer non riesce a presentare la domanda. Questo è un errore gravissimo e quindi stiamo provando ad abbassare la soglia di accesso. Venendo alla grande questione della burocrazia, a volte sono ottimista, a volte pessimista. Spero che riusciremo a ricordarci tutti del famoso libro di Primo Levi “Se non ora, quando?”. Quando sbaraccheremo procedure e resistenze assurde? Ma dico di più: quand’è che ci ricorderemo che il reato di abuso d’ufficio vale anche per l’omissione di atti d’ufficio? Sarebbe paradossale che la politica trovasse delle risposte e che queste fossero vanificate da procedure e inerzie assurde. Ripeto, spero che sia la volta buona: se non lo facciamo adesso, significa che siamo messi male».