Confermati gli investimenti in ricerca e sviluppo e le partnership con le Università: il Presidente De Vecchis illustra le strategie del colosso cinese nel nostro Paese nonostante il peso delle fake news e la presenza di diffidenze immotivate
Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, vive l’emergenza Coronavirus con le preoccupazioni di chiunque. Anche lui deve fare i conti con le incognite e le paure per il futuro dei propri cari, delle persone, dell’economia, della società. Ma in questo momento ha un nemico in più: il pregiudizio nei confronti della Cina e quindi di riflesso su Huawei, una delle aziende cinesi più conosciute e popolari, leader mondiale nel settore ICT (Information and communication technology) e dei dispositivi smart. Il venticello del sospetto si sofferma qualche volta sugli atti ufficiali, ma soprattutto soffia sui “si dice” e “ho saputo che” che a loro volta alimentano le fake news che, come un tam-tam, segnalano un ipotetico quanto mai dimostrato pericolo di fuga di dati sensibili verso oriente attraverso le tecnologie del colosso cinese. «Sciocchezze, vere sciocchezze», dice De Vecchis. «Purtroppo c’è gente che si presta a queste calunnie, che le fa circolare».
Italia-Cina, la percezione dell’opinione pubblica
Iniziamo proprio da qui. Pensa che il nostro Paese sia più aperto o più diffidente nei confronti della Cina dall’inizio dell’emergenza Coronavirus?
«Non so se ci sia stata un aumento della fiducia degli italiani nei confronti della Cina, però recentemente ho letto un’indagine della Swg che riportava come nell’opinione pubblica fosse in crescita l’ipotesi di una possibile alleanza strategica tra i due paesi. Evidentemente questa idea incomincia ad entrare nel cuore e nella testa della gente. Non possiamo per questo pensare che i detrattori della Cina, spesso motivati da un pregiudizio e da un sentimento irrazionale difficile da arginare con la ragione, possano d’un tratto usare la logica e cambiare opinione. Però questa crescita di gradimento ci fa ben sperare e mitiga un po’ l’amarezza per alcuni commenti. Abbiamo risposto in due modi all’emergenza in Italia: con solidarietà e amicizia. Avendo già affrontato tutti i problemi che poi si sono verificati qui, abbiamo definito una serie di iniziative di sostegno e aiuto concreto. Non c’è, come qualcuno si affretta a dire in modo francamente ridicolo, un “soft power” dietro a queste iniziative. L’Italia è un Paese amico, non un Paese da “conquistare”».
Le iniziative per l’emergenza Coronavirus
Può fare il punto sulle donazioni di Huawei in Italia?
«La prima cosa di cui ci siamo resi conto è che, purtroppo, la gente che entra con il virus in ospedale di fatto tronca completamente le relazioni con i propri cari. Molto spesso il problema è legato alla mancanza di uno smartphone, di un tablet e magari di un collegamento Wifi. Quindi abbiamo deciso di mettere a disposizione tablet e smartphone in alcuni ospedali cercando di alleviare la pena della distanza dei malati dai propri familiari».
Il Governo italiano ha manifestato interesse per la proposta di soluzione in cloud che, secondo quanto da voi proposto, permetterebbe alle strutture ospedaliere e alle unità di crisi di scambiarsi comunicazioni in tempo reale? Avete avuto riscontri?
«Abbiamo parlato con diverse istituzioni, con il ministero dell’innovazione e con le Regioni, ottenendo significative risposte di interesse, in particolar modo dalla Campania. Nuove tecnologie come il 5G possono cambiare il modo di lavorare oggi e di fare gli stessi lavori nel prossimo futuro con maggiore efficienza e produttività. Per quanto riguarda questa tragedia abbiamo cercato di replicare in Italia quanto realizzato in Cina, con sistemi di videocomunicazione che collegassero gli ospedali in un momento in cui il personale medico è in prima linea per gestire l’emergenza. Questi strumenti possono far condividere alcune attività, ma anche formare professionalità che entrano in campo ex novo con il supporto delle competenze remote. Oppure possono, con l’aiuto dei sistemi esperti (AI), aiutare a individuare la presenza del virus, partendo dalle Tac realizzate compiendo migliaia di attività contemporanee. Abbiamo avuto riscontri molto positivi, nonostante continuino le menzogne sul fatto che attraverso queste attività dati sensibili vadano in un altro Paese. Devo ripetermi, è completamente assurdo e impensabile che in una situazione come questa ci sia ancora qualcuno che abbia tempo per pensare a queste sciocchezze».
Lei ha anche manifestato la volontà di collegare i centri di eccellenza italiani con gli ospedali cinesi di Wuhan che hanno già sperimentato sul campo il contenimento dell’epidemia. Ci sono novità in tal senso?
«Qualche giorno fa abbiamo realizzato il primo collegamento. Non sono in grado di dare i dettagli, perché tutto questo riguarda gli ospedali. Però abbiamo messo a disposizione i tecnici, abbiamo reso possibili i collegamenti tra medici e medici, abbiamo utilizzato le tecnologie messe a disposizione dagli operatori delle telecomunicazioni. Un operatore italiano, noi non abbiamo avuto nulla a che fare con i dati. Lo scambio che avviene tra scienziati è molto diverso da quello che avviene – nessuno me ne voglia – tra giornali e opinione pubblica».
Il piano di espansione del 5G
Tra non molto l’Italia dovrà recepire il piano sul 5G, in una situazione molto particolare: da una parte le preoccupazioni rilanciate dal Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sulla presenza delle aziende cinesi nelle nostre reti, dall’altra la guerra fredda tecnologica dichiarata dagli Usa alla Cina.
«Italia e Cina sono paesi con diverse esperienze politiche e questo è un fatto sul quale io non posso e non voglio fare alcun tipo di commento. Detto questo sono state state utilizzate informazioni che non hanno assolutamente fondamento, come quella dell’esistenza di una legge in Cina che imporrebbe alle imprese e alle persone di sottrarre dati, anche illegalmente, per favorire il Governo cinese. Ho messo a disposizione dei membri del Copasir il testo di questa legge, e lo stesso ho fatto nei confronti di chiunque avesse un minimo dubbio. La legge, ovviamente, non impone alcuna sottrazione illegale di dati per favorire il Governo. Mi preme ricordare che Huawei è un’azienda nata 35 anni fa con una sperimentazione incredibile e unica nella Cina, identificata in una sorta di zona franca dove gli imprenditori potevano riutilizzare tutti gli utili della propria attività per far crescere l’azienda e con essa il tessuto produttivo, le università, l’ecosistema economico di quel Paese. Huawei è il risultato di questi grandi investimenti. Sono partiti acquistando dei centralini telefonici al di fuori della Cina e hanno continuato facendo ricerca sviluppo e formazione, tant’è vero che oggi detengono circa il 20% dei brevetti del mondo del 5G, peraltro avendo realizzato il primo. Huawei fa parte di comitati internazionali dove il controllo da parte delle associazioni e quello tra scienziati è totalmente aperto. In questi giorni sta girando un grafico animato molto interessante che fa vedere le innovazioni e i brevetti rilasciati da ogni Paese negli ultimi 20 anni. All’inizio del 2000 la Cina non era nei primi 10-12 Paesi, mentre oggi è il primo al mondo per numero di brevetti. Questo è stato un grande problema per le aziende e gli Stati che erano leader incontrastati in quel periodo e oggi non lo sono più: da qui, a nostro avviso, nasce il forte pregiudizio insieme alla volontà di indebolire chi ha avuto una crescita così forte».
Come se non bastasse la crisi in atto si propagano in modo incontrollato le fake news che associano il 5G alla propagazione del Coronavirus.
«Le fake news sul 5G non riguardano unicamente le nuove forniture tecnologiche Huawei, ma tutte le tecnologie. Qui c’è da sottolineare un aspetto molto importante: tutte le frequenze attualmente utilizzate dal 5G sono le stesse che sono state utilizzate dalle precedenti generazioni. Se non hanno fatto male per tanti anni non vedo perché debbano farlo oggi. Il 5G oltretutto andrà a lavorare anche su frequenze un po’ più alte, le onde millimetriche, che hanno lo svantaggio di essere meno efficaci nella distanza, ma hanno il vantaggio di avere una banda molto ampia (maggiore velocità): quindi la potenza necessaria ai telefonini per collegarsi sarà ridotta perché ci saranno più antenne, meno potenti, distribuite sul territorio. E queste antenne non sono oggi così largamente diffuse da poter associare il fenomeno Covid 19 alla rete 5G. Ancora una volta una grande fake news che spero sia rigettata con forza dai Governi che invece devono puntare alla trasformazione digitale se vogliono crescere».
La politica di investimenti in Italia
La crisi in atto vi fa rivedere le vostre politiche di investimento in Italia? Il nostro Paese resta strategico negli obiettivi di Huawei?
«L’innovazione, la ricerca e lo sviluppo rappresentano per la Huawei il 15% del fatturato. In particolare, nel 2019 su un fatturato di 120 miliardi di dollari l’azienda ha investito in ricerca e sviluppo 18 miliardi. Questa è la nostra vera grande forza. Riteniamo che anche per il nostro Paese sia fondamentale investire in ricerca, sviluppo e formazione. Dal 2016 a oggi Huawei ha triplicato gli investimenti in Italia, l’anno passato siamo arrivati ai 42 milioni di euro. Collaboriamo con le Università italiane ed europee. Abbiamo più di 12.000 persone impegnate in Europa e più di 18 centri di ricerca e sviluppo. Le Università e i docenti lavorano in partnership con noi e realizzano brevetti sulle tecnologie del futuro. Abbiamo costituito una sorta di Accademy per preparare i nuovi laureati in Italia ed in Europa alla ricerca e allo sviluppo. Continueremo ad investire in Italia nonostante, purtroppo, ci siano situazioni anacronistiche e incredibili di una parte della politica e dell’opinione pubblica: se fosse vero tutto quello che alcuni sostengono, il problema non sarebbe soltanto Huawei ma tutto ciò che è cinese del mondo. Pensiamo alle aziende di Telecomunicazioni ed alle interconnessioni tra tutti gli operatori del mondo per poter parlare e connettersi in tutto il mondo. È facilmente verificabile che non si è prodotta alcuna condizione per la quale si siano spostati dati sensibili altrove. Peraltro gli Operatori hanno controlli molto stringenti sulle reti e le procedure di sicurezza sono definite e realizzate nei comitati mondili di standardizzazione dove Operatori, Vendor e Istituzioni lavorano insieme. Una situazione del genere metterebbe fortemente in crisi una multinazionale come Huawei, che non usufruisce di aiuti statali, come certifica il bilancio controllato ormai da anni dalla KPMG, e fa degli investimenti in ricerca e sviluppo il proprio vanto».