Secondo il Procuratore capo di Catanzaro l’informatizzazione è la ricetta per migliorare l’intero sistema: dalla giustizia alla PA, può aiutare a combattere la corruzione e ricostruire il nostro sistema dopo l’emergenza Coronavirus
È sempre stata il chiodo fisso di Nicola Gratteri, l’informatizzazione. Lo era prima che il suo nome entrasse al Quirinale come ministro della giustizia nella lista sottoposta da Renzi a Napolitano – sappiamo tutti come andò a finire, ed ancora oggi qualcuno avanza dubbi sulle ragioni reali che portarono al no secco del Capo dello Stato. Era il febbraio del 2014.
Pochi mesi dopo l’attuale Procuratore di Catanzaro iniziava a lavorare come Presidente della Commissione che porta il suo nome. Istituita il 30 maggio, insediatasi il 30 luglio con i suoi dodici autorevoli membri, la Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità organizzata ha consegnato a fine 2014 la propria relazione conclusiva.
Anche in quelle pagine si trova la sintesi del pensiero di Gratteri: la giustizia va alleggerita, va snellita, va liberata di tutti gli orpelli che permettono lungaggini e margini di manovra. L’informatica può aiutare molto. E fa risparmiare.
Lo spiega da allora, Gratteri. Ne ha parlato in ogni occasione, ripetendolo in talk televisivi, nelle interviste, nelle piazze. Voleva far comprendere a tutti come l’informatizzazione avrebbe potuto aiutare a combattere la corruzione, a riavvicinare i cittadini alle istituzioni, a costruire un miglior vivere comune.
Oggi, sommersi in un’emergenza che ha paralizzato il mondo, si inizia a parlare di tecnologia come unica soluzione. L’app per poter riprendere a muoverci, lo scambio globale delle ricerche per trovare il vaccino. Ma anche le videochiamate per non perdere i contatti affettivi e sociali. In attesa che l’Italia riparta. Che si superi la chiusura a oltranza del vivere sociale.
la procura di catanzaro lavora a pieno ritmo
La Procura della Repubblica di Catanzaro non ha mai rallentato. Pensare in prospettiva, strategicamente, immaginando gli scenari prima di averli davanti gli occhi, aiuta. È una predisposizione ed un modo di vivere, per Gratteri. Sarà anche per il lavoro che fa, in cui deve cercare di pensare in anticipo su tutti.
«Una settimana prima che il governo disponesse, giustamente, la chiusura in blocco degli uffici e del lavoro, ho istituito una pec per permettere a tutti – parti offese, indagati, avvocati – di mettersi in contatto con la Procura. Poi attraverso il mercato elettronico ho comprato disinfettanti, mascherine e tutto quello che serviva: abbiamo ancora una bella riserva. In ogni corridoio ci sono almeno due distributori di gel disinfettante. E lavoriamo come sempre».
Prima del Coronavirus mangiava in ufficio, Gratteri, tra un incontro e l’altro. Continua a farlo. Semplicemente, gli incontri sono diventati informatici. Perché l’informatizzazione salverà il mondo del dopo Coronavirus.
Ogni italiano ha un cellulare e mezzo
«Abbiamo continuato a spingere sul processo a distanza, abbiamo continuato rapporti con i Gip, con i tribunali, con la Corte d’Appello via pec. È in stato avanzato il sistema che scannerizza tutti i fascicoli e li manda al gip. Se nel 2014 fossi stato ascoltato, oggi saremmo il Paese più avanzato. Se fosse passata l’idea dell’informatizzazione, oggi non sarebbe tutto bloccato».
Ha sempre le idee chiare, il Procuratore italiano più conosciuto e più seguito dai cittadini italiani. Spiega la sua ricetta. Semplice, ovvia. Quella di 6 anni fa.
«Ogni italiano ha almeno un cellulare e mezzo, i bambini nascono con i tablet, però poi pensiamo che la giustizia vada avanti con penna a calamaio. Meno informatica inserisci nella procedura, più sono i margini di manovra per le scappatoie. La tematica sulle notifiche, ad esempio, di qualsiasi genere sia».
Gratteri racconta l’iter fuori dai bit. E te lo vedi correre davanti agli occhi, il sistema che fa acqua. Anzi, che faceva acqua: oggi i tribunali sono chiusi. «Parte con l’omino. Un numero scritto male, una banconota da 100 euro che può creare la possibilità di non far trovare un numero civico».
Abbiamo sprecato tempo. Abbiamo sprecato soldi e risorse. «Ogni giorno quattromila carabinieri in Italia vanno a fare i messi notificatori: un lavoro che poteva essere fatto con la posta elettronica».
Perché tanta resistenza sull’informatizzazione?
«L’informatizzazione non la si vuole perché abbatte i costi e i tempi del processo, perché elimina il potere discrezionale dell’uomo e quindi l’abuso. Fortuna che allora è passato il processo a distanza, almeno per i detenuti in alta sicurezza. Oggi si è arrivati a fare anche l’udienza di convalida a distanza. Forse su questo hanno ragione gli avvocati: l’interrogatorio di garanzia potrebbe ritornare ad essere fatto di persona. Ma con dei distinguo. Quando noi facciamo arresti di 40 persone per associazione a delinquere di stampo mafioso, per la convalida i detenuti si trovano sparsi in 10/12 regioni d’Italia. Non sarà il gip di Catanzaro ad interrogarli: li interrogheranno i gip di Milano, Venezia, Torino, e via dicendo, che dovrebbero in tre giorni leggersi 2000 pagine e poi fare le domande. In questo caso penso sia più utile che lo interroghi a distanza il gip di Catanzaro, che già conosce gli atti: meglio dell’udienza di convalida fatta da un giudice che non conosce, che non ha avuto mesi, anche un anno di tempo per maturare e assorbire la richiesta fatta al pm e quindi l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare fatta dal gip di Catanzaro. Se la convalida può essere fatta direttamente dal giudice, ha senso farla di presenza. Ma se è a distanza, come è oggi con rogatoria fatta da un giudice che non conosce gli atti, penso che sia meglio il processo a distanza».
Solo la politica può cambiare le cose
Con la ricostruzione c’è la possibilità di cambiare le regole? C’è la possibilità di dare un colpo secco alla corruzione, uscendo da questa emergenza?
«È tutto nelle mani della forza della politica. Se la politica – intendo ovviamente il legislatore – avrà la forza, il coraggio, l’autorevolezza, di farci uscire da questa esperienza traumatica del Coronavirus provati ma più forti, allora potremo affrontare un periodo di ricostruzione difficile ma migliore. Iniziando dalla rivoluzione nella PA, con l’informatizzazione, per legare insieme ogni settore del sistema. Per iniziare a dialogare.
«L’informatizzazione spinta – abbiamo visto in Corea del Sud – ha consentito una grande accelerazione per arginare il fenomeno del Coronavirus. Cosa che non è riuscita a fare la Cina, né nessun Paese europeo. Neppure in quelli del nord che si sono dimostrati ostili – a partire dall’Olanda.
le mafie aspettano i soldi dell’Europa?
«Intanto. Le mafie sono presenti dove c’è da gestire denaro e potere. Le mafie sono presenti da tempo, non è una novità, dove ci sono fondi regionali, nazionali, europei. Ma questo non succede solo in Italia. Pensiamo ai terremoti, alla partecipazione delle mafie alla ricostruzione: è stata una costante. È ovvio che quando arriveranno soldi in Italia, la mafia si organizzerà. Se potranno cercheranno di appropriarsi di questi fondi, ovviamente. Ma che ragionamento è? Siccome le mafie possono prendere i soldi, allora non li mandate in Italia? Sono ragionamenti da bar dello sport. I soldi devono arrivare perché in Italia c’è bisogno, perché l’Italia fa parte della comunità europea, perché l’Italia è tra i fondatori della Ue. Mandate i soldi perché c’è bisogno. Ovviamente si dovrà costruire un sistema tale da ridurre al minimo il rischio che arrivino nelle mani sbagliate».
Controllo dei bisognosi: le lamentele dei sindaci
Il controllo. Un altro chiodo fisso di Gratteri. Appena si è saputo che i sindaci avrebbero scelto come distribuire i buoni pasto, il procuratore capo di Catanzaro ha proposto loro di mettere a disposizione delle autorità gli elenchi dei beneficiari per evitare illeciti. In Calabria non l’hanno presa bene.
«Non basta avere zero sulla dichiarazione dei redditi: con questa equazione potremmo anche dare soldi agli evasori totali. Ecco perché è importante che venga dato questo elenco al maresciallo dei carabinieri di un comune di 2000/3000 abitanti, dove magari risiede un esponente importante della ‘ndrangheta che è quasi sempre nullatenente, che quasi sempre sulla carta risulta povero, salvo poi avere intestazioni fittizie di beni a favore di altre persone insospettabili e incensurate.
«Qualche sindaco si è lamentato di questa mia proposta, parlando di Costituzione, violazione, interferenza. Io rispetto la grande sensibilità, giuridica e politica, di libertà, ci mancherebbe alto. Nessuno vuole interferire sul potere del sindaco. Penso, piuttosto, che dovrebbe essere ben lieto, dovrebbe avere sollievo sapere che i soldi vadano a persone che hanno realmente bisogno. Poi, se il sindaco è in malafede o ha paura che questi soldi non vadano agli amici o agli amici degli amici, allora è un’altra cosa».